Non amo Massimo Gramellini, ma ammetto di aver trovato molto azzeccato il suo intervento di ieri, durante la prima serata di Sanremo. E’ salito sul palco e, dopo aver adempiuto alla sua precipua funzione sanremese (proclamare la canzone vincitrice tra le due proposte dai Perturbazione) non ha resistito dall’aprire il suo consueto foglietto: e così, prima che io potessi alzarmi per andare a stendere i panni, ha pronunciato una parola magica che mi ha immobilizzato sul divano: “Creatività”.
Non riesco a trovare il testo esatto da lui scritto e letto: andrò dunque “a braccio”, sulla base di quello che ricordo e sulle riflessioni che ha immediatamente suscitato in me.
Una breve ricerca dimostra subito come persino la definizione della parola “creatività” sia difficile e controversa. C’è chi la definisce uno strumento per produrre qualcosa di astratto, chi invece un metodo per modificare qualcosa che già esiste. Sull’Enciclopedia Treccani si legge: “Si designa come creatività quella capacità della mente che si traduce nella produzione di innovazioni nei processi di conoscenza e di dominio del mondo oggettuale”.
Da un punto di vista puramente psicologico (chiedo scusa agli psicologi per questa sintesi estrema e forse inadeguata), Freud la definiva un meccanismo “difensivo”, in grado di trasformare e convertire le pulsioni originarie, “generatrici di angoscia”, in produzioni simboliche ed espressive accettabili. Questo processo veniva definito – che parola meravigliosa – “sublimazione”.
Secondo Erich Fromm, invece, le condizioni per essere creativi erano cinque: la capacità di essere perplessi, intesa come il riuscire a “provare stupore” per qualcosa che non desta stupore più a nessuno. La capacità di concentrazione sul momento reale. L’esperienza dell’Io, cioè conoscere se stessi e sperimentare le proprie capacità. La capacità di accettare il conflitto tra corpo e mente, tra ciò che è in potenza e ciò che è in atto, tra incidenti e opportunità che ne derivano. E infine, la capacità che preferisco: la disposizione a nascere ogni giorno. Lascio a lui l’onore di spiegarvelo: “Essere creativi signica considerare tutto il processo vitale come un processo della nascita e non interpretare ogni fase della vita come una fase finale. Molti muoiono prima di essere veramente nati. Creatività significa aver portato a termine la propria nascita prima di morire”.
E allora la creatività NON è – come spesso si pensa – prerogativa unica degli “artisti”, dei geni, o dei bambini (certamente questi ultimi sono avvantaggiati). Ma è la capacità più bella dell’essere umano, di OGNI essere umano. Creatività significa introdurre nuove concezioni, nuove soluzioni. Ma significa soprattutto essere flessibili, definire e strutturare in modo nuovo LE PROPRIE conoscenze e LE PROPRIE capacità.
Le proprie, appunto, non quelle degli altri. Non si può creare un bel niente senza mettere in discussione prima se stessi, a partire dal linguaggio che si adopera tutti i giorni (“Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita”, diceva Fellini). E’ davvero troppo facile distruggere, sfasciare, radere al suolo, demolire quello che fanno gli altri, senza superare prima i propri rigorismi e i propri limiti.
E a me le cose troppo facili non sono mai piaciute.
ATTENZIONE: Ogni possibile riferimento a politici, fatti politici e snobismi politici è puramente voluto e NON casuale.