Sarà il tedesco Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, il cardinale scelto da papa Francesco per aprire, giovedì mattina in Vaticano, i lavori del Concistoro con una relazione sul “Vangelo della Famiglia”. I temi sono quelli che si discuteranno nel Sinodo straordinario di ottobre e in quello del prossimo anno: matrimonio, famiglia, accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, coppie gay, fecondazione assistita, maternità surrogata…
«Il Papa mi ha informato di questa sua decisione già prima di Natale», ha spiegato il porporato tedesco che sul tema dei sacramenti ai divorziati risposati ha aggiunto: «Non intendo tanto dare un contributo su questi temi brucianti di oggi, quanto un fondamento teologico per la discussione».
Walter Kasper è uno dei pochi cardinali, se non l’unico, che può vantare una “recensione” in mondovisione da parte del Pontefice. «Il suo libro mi ha fatto molto bene», disse infatti Francesco nel suo primo Angelus citando Misericordia (Queriniana), la riflessione del teologo tedesco che, entrato in Conclave per un soffio (ha compiuto 80 anni il 4 marzo dell’anno scorso, pochi giorni dopo l’inizio della sede vacante), ha svolto il ruolo di grande elettore di Bergoglio.
I due erano anche vicini di stanza a Santa Marta e in quella circostanza Kasper regalò il suo libro sulla misericordia al futuro Pontefice. Perché dunque Francesco ha scelto il fine teologo, già docente di Teologia sistematica a Munster e a Tubinga, per aprire una fase delicatissima di riflessione sulla pastorale familiare? Il tema è scottante, le incognite sono tante, gli strappi di alcuni episcopati, a cominciare proprio da quello tedesco, si sono già consumati. C’è chi propone (e vagheggia) cambiamenti radicali della dottrina e chi tira il freno.
La scelta di Francesco non è causale ma rappresenta un segnale ben preciso sul fatto che la posizione antropologica della Chiesa non va agitata come una clava identitaria ma occorre dolcezza nel proporla e sapienza per spiegarla. Usando quella misericordia che è il medicinale principale per soccorrere quei “feriti” di oggi che nella Chiesa cercano riparo e conforto.
Come ha detto lui stesso, Kasper darà un «fondamento teologico» alla discussione con l’obiettivo, si spera, che non deragli sui binari sterili dello scontro tra progressisti e conservatori, tra quelli che “con Francesco cambia tutto” a quelli che “non cambia niente e va tutto bene così”. Un muro contro muro che non porta nulla e soprattutto non aiuta a prendere decisioni.
Intervenendo ad convegno organizzato a Bergamo qualche mese sui due Papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI, Kasper indicò alcune bussole per affrontare questi temi. La prima è il Concilio: «L’obiettivo pastorale di Giovanni XXIII era quello di un aggiornamento, un diventare oggi della Chiesa», disse il cardinale. E con questo, «non s’intendeva un adattamento banale allo spirito dei tempi, ma l’appello a far parlare la fede trasmessa e tradotta nell’oggi. Ecco perché, a cinquant’anni di distanza, il Concilio resta incompiuto, una bussola in movimento».
La seconda bussola indicata da Kasper è l’atteggiamento da tenere, ossia l’hilaritas, tanto cara alla spiritualità francescana: «Il Concilio», ha detto, «ha destato la gioia per Dio, per la fede, per la Chiesa. Bisogna anzitutto riaccenderla di nuovo in noi, affinché possa entusiasmare anche gli altri. La gioia è contagiosa».
Kasper, infine, non ama l’ecclesialese e quando si parla di questi temi dice con chiarezza quel che non va: «Il problema oggi è che Dio per molti non è più un problema. Sembra che non interessi più, c’è indifferenza. E ciò che è sconcertante è il fatto che quelli senza Dio non sono più cattivi e non sembrano essere meno felici rispetto a chi crede».
La soluzione non è portata di mano, non sta in una formula o nell’organizzare dibattiti. «Le questioni di riforma interne alla nostra Chiesa sono interessanti solo per gli insider», avverte, «le persone lì fuori, nell’“atrio delle genti” hanno altre domande sul senso della vita, il dolore, la felicità». Occorre dunque uscire fuori: «Dobbiamo essere tutti “teo-logi”», afferma il cardinale, «il cui compito, appunto, è quello di parlare di Dio. E non di una trascendenza vaga ma del Dio che in Gesù Cristo si è rivelato come Dio con noi e per noi».