Nuovo giro, nuova corsa. Archiviata l’esperienza del Governo di Enrico Letta, si veleggia verso un assai probabile incarico a Matteo Renzi che, come sembra capire dai giornali, baserà la sua azione su alcuni punti fondamentali: riforma elettorale e istituzionale, scossa all’economia e sburocratizzazione. Con una particolare attenzione a quest’ultimo punto (che investe anche, ma non solo, una corretta ed efficace gestione del processo di revisione della spesa), e tralasciando il solito inevitabile esercizio del totoministri, (ri)avanzo una proposta sull’approccio da tenere sulla costruzione del nuovo Gabinetto, che miri ad una auspicata riduzione del numero delle poltrone e delle strutture amministrative. E, poiché il pesce puzza dalla testa, partirei dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui missione dovrebbe essere quella supportare il Premier all’esercizio dell’attività di direzione della politica generale del Governo. A fronte, invece, di una struttura snella e orientata alla operatività, l’alberello della Presidenza è andato via via costruendo rami sempre più robusti, sviluppando, come per partenogenesi, dipartimenti ed uffici che molto poco hanno a che spartire con la missione propria della struttura. Un esempio? Serve un Dipartimento (e un Ministro) per le Politiche Europee ed una struttura di missione per la risoluzione delle procedure di infrazione Ue a fronte di un Ministero degli Affari Esteri in cui è presente una Direzione Generale per l’Unione Europea?
In questo quadro, il tema delle politiche sociali rappresenta la ghiotta occasione di portare a casa, con un colpo solo, la riduzione delle strutture (leggasi poltrone e costi) e un segnale forte al Paese a favore della unitarietà ed efficacia delle politiche a favore delle persone in maggiore difficoltà. Dal 2001, a fronte del varo del nuovo Ministero del Welfare, le politiche sociali sono state oggetto di particolari attenzioni da parte di tutti i governi: se dal 1987, con il primo Governo Goria, erano sostanzialmente riunite nell’alveo dell’allora Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal secondo Governo Berlusconi in poi si è assistito ad una moltiplicazione di uffici, spesso sulla base di trasferimenti di competenze allora proprie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ben poco avevano a che fare con razionali disegni di razionalizzazione della materia. E, seppure un processo di asciugatura burocratico-organizzativa c’è effettivamente stato nei Governi Monti e Letta, ad oggi ancora abbiamo Dipartimenti per le politiche della famiglia, per le pari opportunità, per l’integrazione, per i giovani e il servizio civile nazionale, per lo sport (assieme ad affari regionali e autonomie), oltre a Direzioni generali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in materia di terzo settore, immigrazione, inclusione sociale. Abbiamo, inoltre, un Dipartimento per le economie territoriali ed uno per gli affari regionali. E allora perché non individuare un’unica struttura con un unico Ministro che riporti ad unitarietà tutti i rivoli del sociale oggi dispersi?
La forma a volte è anche sostanza, ed i simboli in politica hanno la loro importanza. Un ministero per le politiche sociali rappresenterebbe, credo, un doppio messaggio: una risposta visibile ai bisogni sociali che abbia come missione fondamentale una politica di riduzione della forbice delle differenze, ed una risposta all’esigenza di contenimento dei costi. Se da tutti è avvertita l’urgenza di una risposta politica forte per contrastare l’emergenza sociale che attraversa larghi strati della società italiana, uno dei prerequisiti va individuato nella (re)istituzione di un’unica struttura, affidata ad un Ministro con portafoglio, che riunisca finalmente tutti i diversi filoni del sociale, mettendo compiutamente a fattor comune tutte le aree delle politiche sociali. Una struttura unica e un unico vertice politico a fronte di una pletora di gabinetti, segreterie, addetti stampa, grands commis. Riorganizzando competenze in modo sistematico e ricomprendendo i diversi segmenti del sociale, si esalterebbe il ruolo di coordinamento ed impulso proprio delle amministrazioni centrali nel nuovo quadro costituzionale di larga deconcentrazione, contribuendo a processi decisionali più corti e meno defatiganti e, soprattutto, a riguadagnare coerenza e senso nei processi a favore dei cittadini. Proviamoci.