Dopo molte esperienze sul campo, Eleonora scrive per Failcaffè a proposito della cooperazione nei paesi in via di sviluppo. In questo interessantissimo pezzo delinea un interessante profilo riguardo al lavoro che è stato fatto, quello che è stato omesso e quello che bisognerà fare in futuro nel continente nero.
di Eleonora Gamba
Secondo una mia riflessione personale, coltivata a seguito di alcune esperienze nel campo dell’aiuto allo sviluppo, gli interventi della cooperazione internazionale nei paesi del Terzo Mondo sono stati un vero e proprio fallimento.
Per fallimento intendo quando un progetto non ha le capacità per mantenere dei benefici a lungo termine in loco. Il principale problema risiede nella prospettiva da cui si analizza l’obiettivo principale delle operazioni: la riduzione della povertà e le conseguenze che essa produce. Come affermano diversi economisti, nei paesi in via di sviluppouna maggior uguaglianza è la condizione necessaria per una crescita capace di auto sostenersi. I bassi redditi e livelli di vita della maggioranza della popolazione abbassano la loro produttività economica e di conseguenza rallentano la crescita. Una distribuzione del reddito più equa accompagnata da una riduzione della povertà stimola una sana espansione economica, agendo come incentivo materiale e psicologico a una partecipazione al progresso economico del Paese.
Ci si è sempre posti come principale obiettivo uno sviluppo economico. Al fine di raggiungerlo, gli enti governativi e non governativi, attraverso la cooperazione tecnica e gli aiuti finanziari, hanno speso le loro forze per risolvere il problema delle diseguaglianze sociali-economiche. Dunque, dal periodo post-coloniale fino ad oggi si è cercato in tutti i modi di rimediare agli errori del passato e proporre una serie di iniziative volte a soluzioni mirate ad una rinascita dell’Africa senza accorgersi che si proseguiva esattamente sulla stessa traiettoria della colonizzazione ideologica del passato che, secondo il mio parere, si rivela molto più dannosa rispetto a quella economica praticata attualmente dalla Cina. Si tratta di tentativi di esportare ed imporre sul territorio gli strumenti chiave con la scala di valori culturali del nostro sistema capitalistico anche nel continente nero, convinti del fatto che il paese debba per forza seguire, tappa per tappa, la nostra stessa strada.
E se la colonizzazione avesse interrotto lo sviluppo di una popolazione che pian piano sarebbe potuta crescere percorrendo strade diverse rispetto a quelle dell’industrializzazione e del capitalismo sfrenato che ha caratterizzato il mondo moderno occidentale? Qui voglio approfondire una questione importante che spesso viene fraintesa: sovente si parla di sviluppo di una nazione prendendo come parametro quello occidentale. Per sviluppo bisogna intendere un percorso minato da cambiamenti che permettono alla comunità di prendere coscienza di se stessa creando le fondamenta di una struttura dalla quale è possibile compiere delle scelte. La scelta di un proprio e diverso sistema sanitario, educativo, sociale, politico ed economico.
Cosa si sarebbe dovuto fare?
Si sarebbe dovuto porre come principale obiettivo l’autodeterminazione e l’autosufficienza della comunità invece che la crescita economica del paese, attraverso la creazione in ogni paese africano di uníidentità protonazionale e senso di appartenenza alla propria civiltà; in questo modo essi sarebbero ora davvero in grado di decidere per se stessi. In concreto si sarebbe dovuto fornire o meglio ridare all’Africa gli strumenti chiave per permettere una rinascita del paese dal basso; esso sarà in grado di intraprendere un percorso politico-economico-sociale innovativo e probabilmente del tutto diverso da quello occidentale .
Il principale di questi strumenti è un’istruzione priva di preconcetti ma che fornisca una descrizione storica e scientifica della realtà. Un secondo può essere individuato nel tentativo di dare alla popolazione la possibilità diesercitare le loro capacità intellettive e lavorative creando anche nuove e diverse figure professionali; si fornisce loro un supporto inteso come una scintilla che accende la candela.
Chiediamo ad un bambino etiope cosa vede quando chiude gli occhi. Egli vi risponderà il nero. Chiedete ad una classe di ragazzini kenyoti di 12-13 anni di disegnare il loro luogo dei sogni. Non sapranno di cosa tu stia parlando.La mancanza di creatività e di immaginazione è una causa del fenomeno di povertà. Continuando ad imitare il mondo europeo ed americano, i PVS (paesi in via di sviluppo, ndr) trascurano il proprio essere. Un esercizio pratico e dinamico per ridare voce al proprio io è la creatività, i colori e l’immaginazione. A questo scopo, gli interventi di cooperazione dovrebbero mirare ad accrescere le capacità creative risalendo poi a quelle sociali.
In conclusione,secondo il mio punto di vista, non ci sarebbe dovuto essere alcun trasferimento di conoscenze ma solo uno sviluppo di quelle giù presenti in loco. Si sarebbe dovuto fornir loro unicamente un sostegno finanziario e morale, un incentivo che mira ad accrescere le loro potenzialità (emancipazione). Il principale errore commesso dalla civiltà occidentale è stato quello di aver tentato di risolvere il problema dall’alto senza aver compreso le sue fondamenta. La popolazione dovrà prendere coscienza di se stessa, amarsi e rispettarsi creando di conseguenza un proprio sistema adatto alle loro circostanze.
Condanno la colonizzazione ideologica che sta tutt’ora operando in questi territori, anche attraverso gli interventi della cooperazione internazionale. Il problema non è la povertà. Il problema siamo noi. La povertà si è creata da un tentativo di imposizione di un sistema che non era il loro, scardinando quell’equilibrio che agiva sulla comunità.
Come scrisse il noto filosofo E.J. Sieyès nel suo celebre pamphlet: “lo spirito di imitazione non ispira mai unabuona condotta”.
Tutti i disegni sono di Toni Demuro