Sarà che non saranno presenti così tante sue foto in rete o che nelle espressioni di Roberto Saviano in foto, si legge qualcosa di cupo, ma se provate a digitare su Google Immagini il nome e cognome dello scrittore napoletano, troverete sicuramente alcune foto che lo ritraggono sorridente o comunque sornione. E questa allegata al post sembra per me significativa sul caso-Saviano scoppiato in queste ore dopo l’intervista rilasciata ieri 16 febbraio a “El Pais”, testata giornalistica iberica, nella quale il giornalista partenopeo, nato il 22 settembre 1979, si confessa sulla sua condizione emotivamente drammatica per essersi “arruinado la vida” (“rovinato la vita”) dalla pubblicazione di “Gomorra” nel 2006.
Se ancora, fate un giro nella barra di ricerca del vostro motore di ricerca, nella sezione ‘web’, e date un’occhiata alle foto degli articoli di testate giornalistiche, più o meno famose, che hanno ripreso la notizia dell’intervista a Saviano, scoprirete che la maggior parte di queste foto ritraggono un Roberto Saviano scuro in volto o preoccupato. Un semplice caso oppure è il potere della comunicazione che intende, in maniera subdola, accentuare l’attuale drammaticità del 35enne?
Sarà l’una o l’altra ipotesi, ma comunque non è questa la notizia. Trattasi invece solo di un dettaglio ripreso osservando il web. Anzi, nello scegliere la foto del post, ho pensato che riprenderlo con un’immagine nella quale è sicuro di sè può essere una manifestazione di vicinanza a Roberto per la lotta che sta vivendo contro la sua vita.
“Yo no creo que sea noble haber destruido mi propia vida y la vida de las personas a mi alrededor por buscar la verdad” (“Non credo sia nobile aver distrutto la mia vita e quella delle persone che mi circondano per cercare la verità”). “Avrei potuto fare lo stesso, – ha proseguito lo scrittore – con lo stesso impegno, con lo stesso coraggio ma con prudenza, senza distruggere tutto. Invece sono stato impetuoso, ambizioso”.
“Almeno per un periodo poi si vedrà”: lo dichiarò il giovane giornalista nell’ottobre 2008 quando decise di lasciare l’Italia perché ritenuto obiettivo del clan de “I Casalesi”.
Da allora vive sotto scorta in luoghi segreti e sempre diversi, privandosi di ogni relax che appartenga ad una vita “normale”. Lontano dalla famiglia. “Bisogna considerare che non posso disporre della mia vita senza chiedere autorizzazione. – ha raccontato Saviano nell’intervista ripresa poi da “Il Mattino” – Né uscire o entrare quando voglio, né frequentare le persone che voglio senza doverle nascondere nel timore di rappresaglie. A volte mi domando se finirò in un ospedale psichiatrico. Già adesso ho bisogno di psicofarmaci per tirare avanti e non era mai accaduto prima. Non ne faccio abuso, ma a volte ne ho necessità. E questa cosa non mi piace per nulla. Per questo spero che prima o poi finisca”.
Perché Saviano è ossessionato? A una delle domande delle interviste risponde così: “Sono ossessionato perché, una volta che mi sono trovato davanti la storia delle mafie non ho più potuto, perfino fisicamente, resistere a seguirla”.
Pablo Ordaz, l’autore dell’intervista, conclude con queste parole il suo lavoro giornalistico: “Todas las palabras de Saviano, aun las más dramáticas sobre su vida, fueron pronunciadas con una sonrisa en los labios”. (“Tutte le parole di Saviano, nonostante le più drammatiche sulla sua vita, sono state pronunciate col sorriso sulle labbra”).
E se davvero Saviano parla così coraggiosamente della sua vita, dell’Italia, di Napoli, della lotta anticamorra, noi gli dobbiamo stare a fianco. Dobbiamo sostenerlo. Anzi, ce lo dobbiamo riprendere. Non solo parlando e scrivendo bene di lui o applaudendolo. Ma dargli fiducia, trasmettergli e donargli coraggio. Il coraggio di tutti. Affinché possa fare la scelta della propria vita. Forse folle. Ma che gli garantirà di riprendersela: rifiutare la scorta.
Magari è facile a scriverlo dietro un portatile da Frattamaggiore, paese in provincia di Napoli dove sono radicate le origini di Roberto. Qui vive infatti suo padre. Qui la camorra si sente, nonostante sia silenziosa. Come il silenzio del piombo sul corpo di Federico Del Prete, cittadino di Frattamaggiore, vittima innocente della camorra assassinato il 18 febbraio 2002.
Magari sarò pazzo ma se io fossi nei panni di Roberto rifiuterei, al costo di tutto, la protezione. Un po’ come Walter Tobagi, collega di Roberto, assassinato il 28 maggio del 1980, che rifiutò la scorta. E riprenderei per un tempo indeterminato e rimettendo in gioco tutto ciò che si era perso, tutto ciò che la camorra aveva sottratto: l’affetto e il calore di una famiglia, gli amici, vivere liberamente in tutto, ecc.
Forse non sarà possibile. Forse non accadrà mai. Ma io con queste righe sento col cuore di infondere coraggio a un uomo della mia terra.
Per la sua libertà.