L’onesto JagoScrivendo di cinema: The Lego Movie

The Lego Movie   Lo so che non c’entro niente, ma voglio scrivere di cinema, di un film: The Lego Movie. È geniale. Ci sono andato con Leo, mio figlio di sette anni. Abbiamo inforcato gli oc...

The Lego Movie

Lo so che non c’entro niente, ma voglio scrivere di cinema, di un film: The Lego Movie. È geniale. Ci sono andato con Leo, mio figlio di sette anni. Abbiamo inforcato gli occhialini di rigore, per il 3D e ci siamo imbarcati in un’avventura, divertente come non mai.

Ho scoperto, grazie al piccolo spettatore che mi porta in sala, i nuovi film d’animazione per ragazzi, e devo dire che – rispetto ai miei ricordi d’infanzia – la civiltà ha fatto passi da gigante. Questo cinema ha valenze molteplici: non solo per l’immaginario visivo che mette in campo, condito da tecnologia incredibile, ma anche e soprattutto per il piano drammaturgico, che poi vorrei dire è quello che meglio si attanaglia alle categorie teatrali.

La storia di The Lego Movie, di Phil Lord e Christopher Miller e prodotto dalla Warner, tocca con acume, e senza difficoltà per lo spettatore (anche quello giovane), livelli di citazionismo notevoli, sorprendenti, e vanta solide strutture: c’è pure un Lego-Shakespeare, un po’ pedante, tra i mille personaggi evocati e presentati, da un fantastico Batman agli eroi di Guerre Stellari, da I Pirati dei Caraibi al cinema Western fino al Fantasy.

Il film parte evocando quasi The Truman Show: una società perfetta, felice, integrata sottomessa a un potere unico che tutto osserva e tutto controlla. Il piccolo protagonista è perfettamente integrato: segue il manuale delle istruzioni, fa tutto quello che gli vien detto. Ma chissà perché c’è sempre – comunque – un sottile fuori tempo, un suo discostarsi inconsapevole dalla massa. È la dialettica individualità-moltitudine che si fa strada, pian piano, nella dinamica narrativa di The Lego Movie, il fondamento stesso del sogno americano: ognuno è speciale, può essere speciale. Ai propri occhi, innanzi tutto: serve credersi/ci e si diventa davvero unici. E l’unicità passa per la creatività, la fantasia, la capacità di “costruire” – non per niente si tratta di Lego – realtà diverse. Contando, però, come è giusto, sul confronto e sull’aiuto degli altri, in una azione comune (altri direbbero “collettiva”) che superi l’individualismo esasperato del liberismo e del mercato.

Come in tutte le fiabe, l’eroe è costretto a superare mille traversie per trovare finalmente se stesso, e forse l’amore. Ma il coronamento, il successo, l’happy end, qui viene assunto e ribaltato non in un’epica fine a se stessa, quanto in una riflessione acuta sul rapporto genitorale.

Si scoprirà, infatti, che il mondo Lego non è altro che la proiezione, la fantasia di gioco di un bambino (come era, in qualche modo, per Toy Story). Ma qui l’aspetto interessante è che i Lego sono il territorio di sfogo del Padre, il modo-metodo dell’adulto per ordinare il mondo, per controllarlo, per dare sfogo maniacale a quelle che possiamo immaginare essere le alienazioni del lavoro. Il “plastico” dei Lego è nella cantina di casa: è costruito con cura nello spazio oscuro e recondito dove il padre “scende” con fare minaccioso.

Il giovane figlio è l’intruso, qualcuno che non deve entrare nel gioco paterno, non può destabilizzarlo, né manipolarlo.

Ecco, allora, che la riflessione sull’identità diventa dunque questione generazionale: sta al Padre riconoscere la qualità creativa, l’indipendenza, la visione del mondo del figlio. E sta al figlio devastare, innovare, cambiare il mondo costruito dal padre. Attraverso i Lego, si gioca la partita reale, lo scontro in atto.

Nel prefinale, poi, dall’alto arriva la voce della madre: è la “famiglia” che richiama all’ordine, al piccolo rito della cena collettiva. Padre e figlio, intanto, si sono ri-conosciuti e hanno stabilito una nuova alleanza affettiva più equilibrata; così come il piccolo eroe della avventura Lego si è confrontato con il Cattivone e ha finalmente fatto trionfare il bene e coronato il suo sogno d’amore.

Il tema dell’identità è più che mai all’ordine del giorno: parola difficile, problema insolubile. Quando si diventa adulti? Come si diventa adulti? Quando si è davvero se stessi?

La consapevolezza del sé, dell’essere “unici e speciali” – sembra dirci The Lego Movie – è l’avventura del quotidiano, della vita di ogni giorno. È un gioco a incastro, un percorso in fieri, un lavorio lento e costante, qualcosa che si evolve ma rischia di bloccarsi (a colpi di colla!). Ancora l’eterno dilemma di Amleto, sospeso nella non-azione, in attesa che qualcuno o qualcosa scelga per lui. È il dramma di Nora o l’incertezza di Ellida; è la sfinge di Edipo: l’eterna domanda di chi si trova, sul “limitar di gioventù”, a fare i conti con se stesso, con il proprio passato e con quel che resta di un futuro possibile. 

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