C’è stage e stage. I tirocini infatti si trascinano dietro una polemica antica in Italia e cioè che si siano un modo per le aziende di procurarsi personale a costo zero per attività a bassa professionalità. Tanto che per quelli successivi al diploma o alla laurea è intervenuto già il governo precedente, quello di Mario Monti, con una regolamentazione molto rigida approntata dal ministero retto da Elsa Fornero. Per gli stage curriculari, quelli che si fanno durante gli studi (o che si dovrebbero fare, ahimé, ché spesso non si riesce, ma questo merita un altro post), c’è una polemica in atto da parte chi ne chiede una stretta.
Lo stage si sta però rivelando anche un formidabile strumento di orientamento, cioè per scegliere un corso secondo le proprie vere attitudini e non sulla base di preconcetti, cose orecchiate, pubblicità furbette.
Da qualche anno i dipartimenti universitari dell’area di scienze, nell’ambito del Piano lauree scientifiche-Pls del Miur, stanno usando i tirocini proprio per far capire agli studenti delle superiori in che cosa consista davvero un corso di laurea. Ogni anno 800 istituti in tutt’Italia e oltre 2mila insegnanti conducono migliaia di studenti nei laboratori d’ateneo a sperimentare la fisica, la chimica, la scienza dei materiali o a fare esercitazioni matematiche.
Ma c’è chi va oltre: da oggi e fino al 7 febbraio, per esempio, 30 studenti meritevoli provenienti da tutt’Italia arrivano all’Università di Tor Vergata a Roma, anche qui grazie a un progetto sperimentale del ministero (ogni tanto c’è anche qualcosa che funziona), per unirsi alla normale attività di ricerca di fisici, astrofisici, scienziati della materia. Un’esperienza unica in Italia, che produce risultati assolutamente di rilievo, come raccontato dagli stessi giovani protagonisti in un libro uscito per Springer: “Studenti-ricercatori per cinque giorni“ e come si può intuire seguendo le testimonianze raccolte nel video pubblicato in questo post.
Lo stage come strumento per scegliere bene è un’esperienza da moltiplicare a tutti i livelli se vogliamo evitare che, ancora oggi, due studenti universitari su 10 abbandonino gli studi dopo un anno, avendo sbagliato la scelta del corso. O, come hanno scritto lunedì le cronache, a Milano si registri il 14% delle bocciature in prima superiore. Un altro tipo di abbandono, certo, ma anche quello spesso prefondamente connesso alla superficialità della scelta e allo scarso supporto fornito alle famiglie e agli studenti.
Tutto, nei passaggi fra media inferiore e scuole superiori e fra queste e l’università è, da anni, lasciato all’iniziativa dei singoli e gli insuccessi derivanti da questa gestione raffazzonata hanno costi sociali e di sistema incalcolabili. Chi si è mai messo a stimare quante risorse pubbliche sprechiamo negli anni buttati via, a scuola o in facoltà? Chi s’è mai preso la briga di misurare il costo sociale delle depressioni giovanili che sono spesso conseguenti a un abbandono, scolastico o universitario, imputabile a percorsi intrapresi senza sapere perché? Quanti Neet sono figli di una scelta sbagliata di un liceo o di un corso di laurea?
Una delle riforme prossime venture del nostro sistema educativo dovrà anche prevedere a che questi delicatissimi passaggi – dove le attitudini dei singoli, le loro motivazioni ma anche la capacità di capire a fondo una discipline contano moltissimo – trovino una loro sistemazione. Che, per esempio, sia congegnato un orientamento che diventi esperienza concreta, da svolgere durante il percorso formativo precedente.
Con una crisi la cui soluzione non appare propriamente dietro l’angolo, questo scialo di talenti e di risorse pubbliche non è più davvero tollerabile.