L’insostenibile pesantezza dell’essere italianoUna magica esperienza di gruppo in una società sempre più individuale: le Universiadi.

Stasera scrivo per raccontare un'esperienza che ha segnato in modo indelebile la mia vita universitaria. Non preoccupatevi: non piangerò per nessun esame andato male, non martizzerò nessun professo...

Stasera scrivo per raccontare un'esperienza che ha segnato in modo indelebile la mia vita universitaria. Non preoccupatevi: non piangerò per nessun esame andato male, non martizzerò nessun professore incapace e tantomeno mi innalzerò per qualche lode (vederle quelle!). Come potete leggere dalla mia bio nel Blog, frequento l'Università degli Studi di Trento e la ritengo una delle scelte più azzeccate dei miei due decenni e poco più di vita. Vi parlerò di un evento come purtroppo pochi studenti universitari italiani non conoscono: le Universiadi.

Sono una relatà che, sono sincero, non conoscevo nemmeno io fino a quest'estate quando uno dei soliti poveri cristi che distribuiscono volantini mi ha chiesto di farne parte. Ovviamente non come sportivo, chiariamoci! Io e gli sport di movimento non andiamo troppo d'accordo e i miei jeans possono testimoniare quando provo a chiuderli con qualche sforzo. Il mio ruolo però era far parte dell'ufficio stampa del comitato organizzativo, in poche parole: quello che ho sempre sognato di fare! Fotocopie dei risultati, traduzione dei comunicati stampa, parlare in inglese arrugginito con giornalisti americani e a gesti con quelli cinesi. Una bomba insomma.

Ho accettato, ovviamente. I'11 dicembre, il giorno delle cerimonia d'apertura dei "giochi olimpici universitari" era per me il giorno più atteso dell'anno, che per un ventenne come me è tutto dire. Il vestiario ufficiale che avevano consegnato a noi volontari mi faceva inoltre sentire ancor più gasato. Far parte di quella che mi sembrava una manifestazione come non ne avevo mai viste prima da vicino era fantastico. Il giorno della cerimonia d’apertura in piazza Duomo lo ricordo minuto per minuto: dalla sfilata delle delegazioni, ai discorsi degli esponenti del comitato sportivo internazionale ed italiano fino all’arrivo della torcia. Era una composizione di emozioni, musiche e persone che ti restano dentro.Di quelle che quando chiami la nonna per dire che ne facevi parte, la mattina dopo lo sa tutto il paese.

A quel punto, alle 18 dell’11 dicembre, credevo di aver visto tutto il meglio delle Universiadi invernali 2013. Beh, mi sbagliavo di grosso. Sapete l’emozione dell’attesa dei risultati? della gioia di una vittoria di una medaglia d’ora di un atleta che prima non conoscevate neanche l’esistenza? Ecco, le tipiche sensazioni delle più celebri Olimpiadi sono perfettamente identiche a quelle delle Universiadi, dove l’unica differenza tra te e l’atleta che vedi in televisione è la differenza di esami che avete passato nel vostro maledetto piano di studi. La tendenza cosmoplita delle manifestazioni come le Universiadi è qualcosa di incredibile: trovare due persone della stessa nazionalità di fila è praticamente un’impresa e socializzare è la parola d’ordine.

Socializzare appunto. Se posso ringraziare l’Universiade per qualcosa è per avermi fatto conoscere tante persone, e che persone. Elencarle tutte qui sarebbe una follia, anche perchè rischierei di dimenticarmi o di rendere questo post chilometrico. I “superiori”, se così posso chiamarli, mi sono stati di grande aiuto per ambientarmi. Bianca e Diego, che oltre a padre e figlia sono due professionisti impeccabili, mi hanno fatto sentire subito a mio agio tanto che ancor prima che finisse la Winter Universiade 2013 avevo già mandato la richiesta per essere un volontario a quella di Granada 2015. Rendetevi conto!

Vorrei però esporvi una grande realtà: quella dei volontari. Non erano mai fermi, instancabili e il loro/nostro entusiasmo si leggeva dallo sguardo già di prima mattina (e non perchè avevano la colazione gratis e abbondante). Persone che non avevi mai visto prima diventavano improvvisamente tuoi compagni di viaggio da un giorno all’altro. Il legame che si instaurava era di reciproco sostegno in giornate che non passavano mai (perchè sì, c’erano anche quelle), al pranzo che slittava alla 4 di pomeriggio e alle parole che ti prendevi sistematicamente dal responsabile dell’area stampa. C’è un lessico di parole ancora a noi sconosciute che con la fine delle Universiadi è scomparso, una routine che ha ripreso a vedere i libri ma le persone incontrate durante la manifestazione hanno, chi più chi meno, contribuito a donarmi qualcosa.

In conclusione vi lascio con goliardia. Vi posto un link di un video realizzato da Simonetta Mastropasqua e Jacopo Franchini, due studenti – volontari come me. Sull’onda lunga di Call Me Maybe dei nuotatori statunitensi a Londra 2012 hanno realizzato un bellissimo montaggio incentrato proprio sui noi volontari che, con grande autostima, posso definire l’anima dell’Universiade in Trentino.

http://www.youtube.com/watch?v=P7hJjF17YRU

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