Nel 1962 Luciano Bianciardi scrive ne La vita agra: «Cessato ogni rumore metalmeccanico, suonerà dovunque la voce dell’uomo e della bestia». Quasi una previsione avveniristica di ciò che resterebbe al gran circo sociale se sprovvisto della rassicurante automazione, l’auspicio sinistro di un bivio in cui, privato di tutto, l’uomo sarebbe costretto a far crescere insieme con la barba quei fenomeni d’amore e amicizia che l’impossibile miracolo economico ha soffocato o isterizzato in corruzione.
Le tracce di riflessione scenica sull’umano in perdita e le sue devianze paiono reggersi spesso proprio sull’annichilimento o la depravazione, due fuochi tremendi che nel mezzo contemplano tinte oscure e comportamenti, atti e oscenità sotto le false spoglie di un’apparenza mansueta. Eppure, la violenza ideologica prevede marcature molto strette in termini di linguaggio ed esposizione fisica, di applicazione dell’ottusità all’abuso dell’altro.
Ne La vertigine del drago, esordio alla regia di Michele Riondino – che ne è anche il protagonista con Alessandra Mortelliti, autrice del testo e presente in scena nei panni di una zingara claudicante ed epilettica – il vertice del conflitto che fa scontrare due alieni della società, un neonazista in erba e una rom isolata dalla famiglia per le proprie disabilità fisiche, si manifesta attraverso una lingua spezzata. Vale a dire che, nel mezzo della lotta in cui un emarginato dalla società e dalla famiglia si trascina in casa una sconosciuta nemica e testimone dello scontro a fuoco che lo ha ferito al ventre, il linguaggio che declina il disordine reciproco si interrompe continuamente per effetto di pause lunghe, spezzoni audio di film truculenti, visioni oniriche e deliri.
L’incidente e la rabbia congenita restano alle spalle della suoneria fascista del cellulare, della rivalità tra poveri e del bisogno di conferma e di esibizionismo xenofobo. E, mentre l’apertura della scena è risolta con la piattaforma girevole di una saracinesca rossa che mostra i due sotto diverse spoglie, sono entrambi riconducibili al prologo di quanto avverrà nel seminterrato asfittico del giovane ferito. La musica è alta e invadente, i secondi piani a vista trattengono azioni da incubo in una scenografia giustamente squadrata, metallica e popolare.
Ma il dolore del colpo nelle viscere, dopo il tentato incendio al campo rom, e la debolezza della zingara che per paura non trattiene la pipì sono i primi puntelli di uno scambio in cui due polarità fisiche, psicologiche e razziali si affrontano nell’attesa che quel guaio venga risolto dall’esterno e per entrambi possa ristabilirsi una condizione di libertà o alleanza impossibile. Di fatto, la confidenza fa qualche passo nella brutalità del naziskin eroinomane, ancora troppo pulito e gradevole nell’aspetto, mentre il terrore degli occhi della zingara e le sue passioni ingenue preludono a uno scambio che ha il pregio di affidarsi con sincerità al tentativo drammaturgico e attorale. Un quadro colmo di ottime premesse bisognose però dell’approfondimento registico attorno ai pilastri della storia e delle sue complesse, scivolose conseguenze in termini di credibilità, ritmo ed evoluzione drammatica.
Perché la parola si fa strumento o barriera di reazioni a catena e confessioni, ma anche confusioni e comode ritirate, nevrosi e attaccamenti fatui su cui le identità e ideologie fondano la propria miscela mortale. Su questa traccia può innescarsi facilmente quel one man show che a poco a poco finisce per non declinare nessun discorso degno di senso e posterità, quella vaghezza retorica che in Discorso grigio di Fanny&Alexander si mostra con la costruzione per tappe di un pupazzo dalle mani giganti e la maschera ingombrante, capace unicamente di roteare su di sé nel vuoto cosmico della propria insipienza.
Ecco che i termini presunti alti dell’alfabeto politico non smettono di girare vorticosamente attorno a proclami di efficienza e controllabilità, coesione e rinnovamento sottintendendo ogni volta il peana dell’etica civile e del bene pubblico. Marco Cavalcoli è solo in scena, come del resto ogni politicante o eminenza grigia in preda alle proprie frenesie e ipocrite vocazioni di ricostruzione: la spinta verso l’alto, quella non espressa ma taciuta vergognosamente, torna a galla in una smania fisica di partecipazione e plauso che fa del preannunciato discorso alle platee il gaga insopportabile di una radio o remix. Il corpo è espropriato del proprio dominio, così la libertà di scelta di un elettore incapace di distinguere tra un esponente di partito e un altro.
Nel guazzabuglio che ci fa le feste ogni pochi mesi, quell’unico erogatore di facili propositi resta immobile a bearsi della propria platea e, a quel punto, pur nell’indice chiaro del pensiero drammaturgico, viene a sovrapporsi il compiacimento, una ripetizione a tratti estetizzante che culmina nell’incitamento alle masse di Churchill, per poi ibridarsi con i dialetti e la pochezza delle poltrone italiane in libera uscita e sproloquio comico di piazza. La rapidità verbale, le sincopi e il silenzio dell’inetto a bocca aperta attraversano satire e inni, finché il piano scenico e reale non si incrociano. Ma il diritto di parola assiste a uno spettacolo pietoso, lo stesso del naziskin che implora la zingara di levargli la pallottola dalla pancia, perché l’odio finisce per comprare la migliore offerta al ribasso.
Fino al 23 febbraio 2014 – Teatro Sala Fontana
La vertigine del drago
di Alessandra Mortelliti
Regia Michele Riondino
Con Michele Riondino e Alessandra Mortelliti
Assistente alla regia Diego Sepe
Scenografia e costumi Biagio Fersini
Disegno luci Luigi Biondi
Trucco Eva Nestori
Assistente ai costumi Sandra Astorino
Tecnico Francesco Traverso
Organizzazione Annalisa Gariglio
Foto di scena Giacomo Cannata – Windmill Digital Design
Produzione esecutiva per Artisti Riuniti Paolo Broglio Montani
Produzione ARTISTI RIUNITI in associazione con PALOMAR
e in collaborazione con 15 Lune Produzioni
Fino al 24 febbraio 2014 – Teatro i
produzione E/Fanny & Alexander
DISCORSO GRIGIO
ideazione Luigi De Angelis e Chiara Lagani
drammaturgia Chiara Lagani
progetto sonoro The Mad Stork
regia Luigi De Angelis
con Marco Cavalcoli
annunciatrice Chiara Lagani
registrazioni Marco Parollo
abito di scena Tagiuri Abbigliamento
oggetti di scena Simonetta Venturini
maschera Nicola Fagnani