Che l’Italia abbia un problema di liquidità è un dato di fatto.
Che il vero nemico per la ripresa dell’economia sia la domanda interna è un’altra verità: purtroppo l’export da solo non riesce a sostenere il peso di un grande paese come il nostro.
Il neo presidente Renzi si trova ad affrontare queste questioni dalle quali deriva la possibilità di spesa del governo e la ripresa economia del Paese. E le priorità di spesa non mancano.
Non esistono riforme a costo zero in un paese democratico: il gioco è di riequilibrare norme, privilegi e l’organizzazione del sistema; per farlo bisogna offrire una compensazione a chi non risulterà beneficiario del cambiamento, ma anzi lo subirà. Poiché è impossibile cambiare tutto, (liberalizzare le professioni e i servizi; ricostruire le scuole, l’ambiente, i beni pubblici in genere; rivedere gli ammortizzatori sociali e gli investimenti infrastrutturali) a chi subisce un costo, si dovrebbe offrire una parziale compensazione. Per farlo, però, servono appunto dei denari.
Per trovare denaro serve potere e responsabilità: il potere di chiederlo a chi ce l’ha; la responsabilità di dimostrare che l’obolo verrà speso nell’interesse generale.
Il denaro, in Italia, non manca. Siamo circa lo 0.8% della popolazione mondiale ma possediamo il 5% di tutta la ricchezza, meglio di Francia o Germania per capirsi.
Manca, invece, il potere. Il potere di affermare che una società ha il dovere di intervenire contro interessi particolari degli individui, soprattutto se la decisione di intervento rispetta delle garanzie: i principi di scelta democratica. Il potere, quindi, di imporre una seria redistribuzione della ricchezza a beneficio del progresso economico se serve. Una redistribuzione che prenda molto denaro dai ricchi, per esempio attraverso una patrimoniale, per poter avviare un processo di riforme serio che nel medio periodo potrà dare beneficio anche ai ricchi stessi. Insomma, un vero e proprio investimento per il Paese.
Follia? Forse sì in questa Italia in cui il messaggio neoliberista che la proprietà privata, intesa come ricchezza mobile e immobile goduta da un soggetto privato, sia inviolabile (vedi il caso IMU). Una follia lucida però, alla cui radice si trova il sacro principio della democrazia: (quasi) nulla è inviolabile se le decisioni sono prese in maniera democratica. Una follia che non si vergogna a prendere da chi ha troppo, tanto quanto non si è vergognata nel rendere facile a poche persone l’accumulo senza freno delle ricchezze.
Comunismo? Forse, ma un “comunismo 2.0″ contrapposto al neoliberismo nel quale ciò che si richiede non è la proletarizzazione dei mezzi di produzione, prospettiva che storicamente fallimentare, quanto il rispetto del principio che l’interesse collettivo, se democraticamente definito, non può incontrare barriere ideologiche o dogmatiche, come la proprietà privata o la difesa della ricchezza insindacabile.
Spero che chi stia leggendo questo pezzo a questo punto provi un po’ di repulsione verso i miei argomenti, perché tanto più grande sarà la sua repulsione, quanto più forte sarà l’impatto dei numeri che voglio presentare. Ricordo che il punto di partenza del discorso è la necessità di trovare risorse per il paese e per le riforme.
E le risorse, non mi stancherò di ripeterlo, ci sono.
Secondo la Banca d’Italia, nel 2010 in Italia la ricchezza privata totale ammontava a 8.368 miliardi di Euro (lo ripeto: 8.368, più di 3 volte il debito pubblico) nel 2012 questa ricchezza era calata di circa 7 punti percentuali, raggiungendo gli 8.000 miliardi (lo ripeto: 8 mila miliardi!).
Come si vede nei grafici qui sotto, forniti sempre dalla Banca d’Italia, la riduzione della ricchezza ha toccato principalmente i lavoratori dipendenti e le persone sotto i 44 anni (Renzi ne ha 39).
E se entriamo nel dettaglio della distribuzione, vediamo come i più ricchi siano diventati ancora più ricchi. Usando le parole stesse dello studio della Banca d’Italia: “Il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede il 46,6 per cento della ricchezza netta familiare totale (45,7 per cento nel 2010). La quota di famiglie con ricchezza negativa è aumentata al 4,1 per cento, dal 2,8 del 2010. La concentrazione della ricchezza, misurata in base all’indice di Gini, è pari al 64 per cento, in aumento rispetto al passato (era il 62,3 per cento nel 2010 e il 60,7 nel 2008)”.
Presidente Renzi, ecco dove può trovare i suoi 100 miliardi: dal 10% più ricco del Paese che da solo possiede il 46.6% della ricchezza, cioè quasi 4.000 miliardi. Non credo che per loro sarà un grave problema rinunciare al 2.5% della loro ricchezza.
La sfida, però, non sono i numeri, ma il metodo.
Su un totale di poco più di 15.000 parole, il presidente Renzi nei due discorsi programmatici alle Camere ha nominato la parola “tasse” 4 volte; “democrazia” 6 volte; termini come “redistribuzione”, “eguaglianza” e “equità” non sono mai citati.
Saprà la sua maggioranza trovare un metodo democratico per chiedere questo denaro e per spenderlo in maniera saggia?
Questa è la sfida. Il resto sono chiacchiere.