ControTempoChi è Laurence Fink, padre del fondo che potrebbe comprare l’Italia

"Pensa ad una cosa grande, molto grande, enorme" "Si, ce l'ho: BlackRock". L'Economist, il 7 dicembre del 2013, rese maggiormente nota (in un contesto in cui tutto ciò era velatamente non necessari...

“Pensa ad una cosa grande, molto grande, enorme” “Si, ce l’ho: BlackRock”. L’Economist, il 7 dicembre del 2013, rese maggiormente nota (in un contesto in cui tutto ciò era velatamente non necessario) la presenza di un vero e proprio colosso dell’economia mondiale, smazzando e snocciolando notizie in prima pagina. Il settimanale londinese esprimeva sue opinioni in proposito alla facoltà, da parte del più grande fondo d’investimento esistente, di poter mutare il paesaggio finanziario globale.

Come in ogni spiegazione che si rispetti conviene partire dalle fondamenta. Bertrand Russel avrebbe detto che “La conoscenza umana è imperfetta, inesatta e parziale.” Qui si cerca, sommariamente, di venir meno a quel principio. 

Un fondo comune d’investimento, quale è sicuramente BlackRock, si prefigura come un grosso agglomerato di moneta detenuta da individui altamente specializzati in materia. Essi incentivano consumatori e grandi investitori a porre la loro liquidità in un immenso cassonetto da loro gestito tramite investimenti sui mercati di tutto il mondo. Il fine è ovviamente quello di cercare dei rendimenti sulle attività finanziarie che siano maggiormente lucrosi rispetto alla normale detenzione di moneta liquida destinata ad erosione del suo valore. 

BlackRock quindi è uno di quei panieri in cui, in questo caso, sono depositati (al 31 dicembre 2013) 4.320 miliardi di dollari, divisi tra investitori istituzionali (pochi ma che detengono la maggior parte della liquidità lì presente) e investitori retail (moltissimi con in mano però una piccola fetta di quel denaro). Sapendo che il debito pubblico italiano era, secondo il Bollettino statistico di Finanza Pubblico della Banca d’Italia di gennaio, a 2089,5 miliardi di euro, si comprende bene la portata di tale fondo d’investimento. BlackRock si disloca attraverso quasi 11.000 dipendenti operando in 26 Paesi divisi tra tutti i continenti e clienti provenienti da più di 100 diversi Stati.

Tra questi vi è ovviamente anche l’Italia, potenziale Re Mida per quanto concerne le analisi finanziarie degli operatori del colosso americano in quanto rispondente al principio per cui si acquista a poco un prodotto che potenzialmente vale tanto; “L’Italia inoltre potrà beneficiare dell’incremento di esportazioni verso Cina e USA e poi, qui, ci sono tante storie interessanti” a quanto detto da Trudel, managing director del fondo. Così si spiegano oltre 10 miliardi di investimenti divisi tra partecipazioni non qualificate in 22 delle società quotate a Piazza Affari (tra cui Intesa, Mediaset, Prysmian, Telecom, Pirelli etc con quote comprese tra il 2% e il 5%: questo permette l’esenzione, per quote del genere, di non dichiarare le partecipazioni ed evitare quindi di porsi nell’occhio del ciclone). 

Se Leonardo Di Caprio fosse stato un vero amante della finanza e non un “personaggio in cerca di autore”, avrebbe voluto lavorare per BlackRock. Ma, in concreto, a chi avrebbe dovuto far capo? A Laurence Fink, ideatore e fondatore di questo immaginifico monumento della finanza mondiale. Laurence, per gli amici Larry, nasce nel 1952 e diventerà uno degli uomini più influenti nello scacchiere mondiale. Famiglia ebrea, un bachelor alla UCLA in Scienze Politiche e un MBA alla UCLA Graduate School of Management, Fink inizia a lavorare nel 1976 a First Boston, una banca d’investimento localizzata a New York. Nel mezzo si sposa, con Lori, con cui mantiene un rapporto idilliaco che lo porta anche ad avere tre figli.

La crescita, inarrestabile, lo porta nel 1988 a metter su BlackRock, società di asset management, con Robert Kapito, plurimedagliato in quanto a prestigio universitario avendo frequentato Harvard e Wharton. La separazione dal gruppo, inevitabile, avviene tra il 1992 e il 1994 con Fink, Ralph Schlosstein e Keith Anderson a porre Blackrock come società autonoma di risparmio gestito. Al vertice della piramide si pone ovviamente Fink, assatanato conoscitore di come procede il mondo: “A 230 nuovi assunti un giorno ho detto di essere ancora uno studente. Io spendo un’ora, un’ora e mezza al giorno ad informarmi su come il mondo cambia. Tu devi infondere sicurezza alle persone che investono nel tuo fondo e non puoi farlo se non sei a conoscenza di come il mondo si capovolge. La mancata informazione non porta altro che al fallimento.”

La società cresce, inglobando al suo interno prima Merrill Lynch Investment Managers nel 2006 (con un raddoppio degli asset della società) e poi Barclays Global Investors che, nel 2009, porta con sè in dote anche iShare, uno dei più grandi fornitori di ETF al mondo. Queste operazioni fanno si che nel 2009 BlackRock possa diventare il più grande gestore di risparmio al mondo con la cifra sopra citata. Ma non è finita qui: “Noi puntiamo a diventare uno dei leader globali all’interno del business. Abbiamo fatto tanto ma ciò che mi premuro sempre di dire a tutti coloro che lavorano con me è che si, è vero che nel tempo abbiamo costruito tanto ma bisogna perseverare perchè davanti ci sono grandissime nuove opportunità da cogliere al volo. Se non pensi di essere uno studente ogni giorno, allora non sarai mai in grado di poter governare la tua realtà.”

Per quanto concerne gli investimenti e il ruolo della finanza, Fink dimostra la sua solita decisione, argomentando “come bisogni ricreare un clima di fiducia in seno alle istituzioni finanziarie, viste alla stregua del Congresso Americano. Vi è un mondo pieno di regolamentazione ma di incertezza intorno ad essa. Bisogna parlare con le istituzioni, con il pubblico, con la politica; ma parlare con loro, non a loro. Solo in questo modo sarà possibile che la storia cambi.” 

E in merito ai nuovi investimenti, le nuove frontiere dell’economia? Una cosa è sicura: “L’economia che ci apprestiamo a vivere sarà un tipo di habitat in cui vivrà l’incertezza e la volatilità in misura ancora maggiore rispetto a quanta se ne è percepita fino ad ora. Europa, USA, Cina e paesi emergenti non sono per nulla immuni a questo tipo di processo e quindi bisognerà vedere se adeguarsi a questo tipo di situazione o cercare di mutarla e cercare, per gli investitori e clienti, un contesto di maggior certezza.”

Forbes l’ha posto come 42esimo uomo più influente al mondo, in grado attraverso i suoi comunicati e le sue barche da miliardi di dollari, di poter influenzare le decisioni di Stati Uniti, Germania, Svezia, General Electric e JP Morgan Chase, tutti suoi clienti. Insomma, se ci si chiedeva in che modo si potesse influenzare le decisioni del mondo, eccone la risposta.

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