“That use is not forbidden usury,
Which happies those that pay the willing loan”
W. Shakespeare – Sonnet VI
Abbandonate venti persone di media cultura su un’isola, senza possibilita’ di collegamento con l’esterno. Se tornate dopo cinque anni, ci sono due opzioni: trovarne solo una superstite, circondata da teschi ed ossa, dopo che tutti gli altri si sono trucidati a morte per qualche lite banale, o trovare una cittadella, con un mercato, dove ognuno ha un ruolo e dove mezzi, beni, servizi, vengono scambiati e gestiti, con una forma di organizzazione interna, con obbligazioni e forme di debito e credito che permettono una gestione delle risorse. In qualche maniera, assieme alla poesia ed all’autocoscienza, dentro ci portiamo una componente selvaggia e feroce, che viene temperata solo attraverso la comunicazione e l’informazione. E la valorizzazione di ogni cosa. La prezzatura di un bene o di un servizio e’ un impulso umano, quasi come dare un nome alle stelle o cucinare con il fuoco. Dare un valore a qualcosa, bilanciarlo con quello dato da altri. Tramite il denaro, la moneta, si permette alla realta’ di trasformarsi. I trenta euro in piu’ di un coupon della pensionata che investe in titoli di stato diventano caramelle per i nipoti od una gita a Pompei e i venti miliardi che l’Italia risparmierebbe sull’interesse dei titoli di stato, se il suo rischio percepito sui mercati fosse pari alla Francia, sarebbero scuole, ponti, start-ups di produttori di caramelle naturali per i nipoti della pensionata.
La potenza trasformatrice dell’economia, di rendere un paese, una societa’ migliore e’ dentro questo meccanismo neanche troppo oscuro, della rendita finanziaria che diventa investimento, che diventa impresa per tornare, attraverso i mercati finanziari, ad essere azione, dividendo, coupon. In una societa’ chiusa, come nell’isoletta, senza sbocchi e dove non esistono opportunita’ di scambi con l’esterno, che non siano branchi di tonni che passano a distanza di lancia, in maniera completamente occasionale e fortuita, se uno degli abitanti avesse voluto ricevere ‘crediti’ dagli altri, in forma di conchiglie o qualsiasi altra forma di valore (cozze pelose, baci sul collo, etc), avrebbe corrisposto agli altri una compensazione del loro investimento, basato su un bilanciamento di quello che e’ ragionevole. In un mercato chiuso, non aperto, si pone il problema di gestire i beni pubblici, ed ognuno paghera’ quello che riterra’ opportuno, in ore lavoro, cozze pelose, etc. Ed esiste una distinzione fra rischio personale, di impresa, e quello collettivo, della societa’ come ente coordinato di gestione. Ed in questo contesto, di capacita’ di avere le risorse necessarie per gestire la collettivita’, che nasce l’idea della tassazione, delle imposte. Non sono un regalo ad un ente polimorfo ed assetato di risorse, ma dovrebbe essere il corrispettivo per un servizio offerto.
Da questo punto di vista, dopo un tifone, od un altro evento simile, la tassazione, il tempo che ognuno lavora per il bene comune, potrebbe rappresentare il 100% del valore prodotto dall’individuo. Tutte le mani alle leve, si dice in Inghilterra, quando, nonostante fatica ed energia, bisogna salvare il paese. Succede in tempi di guerra, di carestia ed in quelli di crisi, come quelli che stiamo attraversando. E’ quando l’altra caratteristica dell’essere umano, la solidarieta’, prende il sopravvento, su tutto, sulla forza della natura o la bestialita’ degli uomini. Sembra un’esagerazione, ma la fiscalita’ e’ collegata direttamente alla gestione dei rischi ed alla solidarieta’. Una societa’ non si costruisce se non esistono gli spazi per farlo e se non ci sono le risorse, sia finanziarie che intelletive, che si spendano a pensare al futuro e non a rimediare sempre e comunque ai danni del passato. La capacita’ di immaginarsi scenari, di devolvere energie al presente, ma un presente che veda nel lungo periodo, sono le caratteristiche che appartengono alla mia idea di riformismo, di societa’ che cresce e che non stagna.
Purtroppo o per fortuna, l’Italia non e’ un’isola, ma una penisola, un paese mediamente grande, con una serie di questioni enormi aperte, di contraddizioni geografiche, sociali, economiche che lo rendono un oggetto difficile da interpretare e, diciamocelo, da governare. E’ un paese immerso nel mar mediterraneo, ancorato alle Alpi, un ponte ideale fra Libia e Svizzera, con una vecchia ambizione di potere su una delle regioni piu’ ricche del mondo, perlomeno in potenza, oggi un paese reso provincia dell’Europa. Un paese periferico, lo definiscono gli studi degli economisti e delle ricerche. Un paese che si e’ messo prima alla porta del cambiamento, della mobilita’, sociale, e poi decisamente nell’anticamera del mercato mondiale, degli investimenti, dei capitali, delle risorse sociali ed umane. Con tassi di disoccupazione, emigrazione e obsolescenza sociale e tecnologica che ne fanno un vero laboratorio di cosa puo’ accadere nel declino post-industriale.
Il rischio che nei prossimi anni correra’ l’Italia sta tutto nella concezione del suo ruolo nel mondo, nel pianeta dei trasferimenti di capitali via PayPal e di rotte mercantili e di risorse che sono sempre piu’ lontane da quelle tracciate da Marco Polo e Caboto, ed in alcune parole che sono mancate, alcuni enunciati che non c’erano da nessuna parte nei discorsi fiume e nelle decine e decine di interventi nella discussione del nuovo governo Renzi. Delle due, l’immagine del paese che ne esce e’ autolimitante e vicina al provincialismo. Un programma di idee e di soluzioni che si esprime tutto in quelle parole e in quei concetti espressi non ancora con un dettaglio particolare. Esiste un rischio di luddismo amministrativo, nel voler scardinare e distruggere per forza, quasi come una posa, non per far posto ad una nuova struttura sottostante, ma per rendere l’idea che qualcosa comunque accada, nelle polveri dei crolli. Come quelle immagini dei film di fantascienza dove l’astronave madre degli alieni, nonostante enormi esplosioni, esce fuori dalla nube di fiamme ancora intonsa.
E rimane il dubbio che il dettaglio, sotto, ancora non ci sia, che sia piu’ facile parlare di tagli sulla tassazione, di spending review, piu’ che di un modello veramente innovativo di sviluppo economico, che riparta prima di tutto dalla promessa di interesse e di sforzo da parte dello stato, delle istituzioni europee.
Invece, ogni governo parte con i tagli, con le riduzioni di quel volano che dovrebbe essere quello della crescita controllata, la spesa pubblica. Rimane un rischio, che tagli senza criteri ben spiegati, creino alla fine solo costi sociali e finanziari di breve periodo ed una forma di illusione che vengano sacrificati posti di lavoro sicuri, forniture che vogliono dire consumi, anche se sbagliati, per una buona fetta dell’economia reale.
Funziona bene in televisione parlare di rendite finanziarie pure, quando questa categoria non esiste piu’ dai tempi del capitalismo embrionale mediceo. La correlazione fra piazze finanziarie e rionali e’ molto piu’ alta di quello che ci si aspetti. Senza i mercati finanziari, non ci sarebbero mele e pere a buon prezzo e, in un’economia che funziona, quello che da una parte e’ rendita finanziaria si trasforma in consumo, investimento reale, contingente, fisico. Forse, il problema e’ ridefinire ed educare le persone, prima di tutto i politici, aiutandoli ad uscire dal massimalismo e dall’approssimazione, quella malattia endemica che fa dire ad un giovane deputato in rete che, nelle misure tipo la webtax, quello che conta non e’ il gettito in piu’ o meno, ma il principio. Con il quale, sanno tutti, si possono costruire case popolari e astronavi per Marte.
Il gioco e’ semplice, se gli investitori si sentiranno penalizzati, andranno via dal paese e il costo del debito salira’, e’ la regola base della domanda e dell’offerta. Quindi, il governo dovra’ pagare di piu’ in interessi, vanificando la tassazione dei BOT, dato che corrererebbe un rischio di avere le prime aste dove non riesce a rifinanziare il debito. Non contano le aste di queste settimane, non conta il sentimento corrente, che comunque e’ figlio di alcune azioni del governo Letta e nipote di altre del governo Monti. Per dare a Cesare quel che e’ di Cesare.
Come in molti altri settori, non si tratta di sudditanza, di inchinarsi a poteri oscuri, ma di far fare al paese lo stesso salto di modernita’ che e’ accaduto con la telefonia mobile, non perdere il treno, ma attrarre l’attenzione non solo dei turisti, ma di chi ha voglia di rischiare sull’Italia. A cominciare dagli italiani.
Con tutto l’affetto del mondo per il nuovo presidente del consiglio e tutti i vari ministri e sottosegretari che conosco, anzi proprio per quell’affetto e quella condivisione di idee e cammino, non posso non far notare che esista un rischio che riduzione dell’impatto dello stato nella vita del paese, attraverso tagli alla spesa pubblica, lo spostamento della fiscalita’ dalla lotta all’evasione, ergo dalla lotta alla criminalita’, al sommerso, diventino boomerang che colpiranno i nostri figli e nipoti. Nonostante i proclami, esiste il rischio di uno Schema Ponzie che sposti ancora una volta i problemi alle prossime generazioni, che non avranno previdenza e che continueranno a sentire la leggera e persistente ingiustizia di portare su di se’ il costo delle inneficienze e dei livelli record di evasione fiscale, corruzione, obsolescenza strutturale e disoccupazione giovanile. Per non parlare del costo del denaro alto, altissimo, rispetto al resto del mondo, non per colpa dei mercati, ma per merito di 20 anni di male politiche economiche, da dentro al palazzo, dalla stanza dei bottoni politici.
Siamo tutti da convincere, dalle porte di Brick Lane verso la City, fino all’ultima casa di Lampedusa e non tanto del coraggio del singolo, ma di come questa visione di un paese diverso, migliore, si traduca in contabilita’ pubblica, costo del lavoro, costo del credito e speranza di trovare un lavoro che sia non una forma imbellettata di schiavitu’, ma una forma di servizio al futuro del paese. Manca ancora un senso di accountability sociale, condivisa, che appartenga a tutti, perche’, si sente nei discorsi, tutti stanno gia’ delegando all’uomo del destino la risoluzione dei propri problemi, come in Anni Ruggenti di Zampa. Il potere e’ un simulacro, un ruolo, un titolo. La democrazia e’ altro, e’ rappresentativita’, condivisione, senso di responsabilita’. E di ricambio vero, profondo. Che stavolta non era possibile, per ragioni che leggeremo fra dieci anni nei libri di storia. DI professori americani o giapponesi.
Quando saremo in un luogo migliore, ci sara’ da domandarsi e da calcolare quale costo abbiamo pagato tutti per venti anni di indecisioni e quale costo pagheremo se non ci saranno soluzioni adeguate al mondo di oggi e non ispirate da sussidiari di ragioneria applicata. L’Italia e gli italiani hanno prodotto negli ultimi dieci anni di costo del credito impazzito gia’ una specie di miracolo economico, sopportando il costo medio di un finanziamento per quasi 2% superiore alla media europea.
Al momento, l’attenzione e’ tutta spostata su proclami e diktat ed aspetto a gloria i dettagli e, soprattutto, qualcuno che parli con senso di scopo e di competenza come si sta preparando il governo ad una serie di temi caldi, caldissimi, roventi, come l’Asset Quality Review, la potenziale necessita’ di una bad bank, lo Stress Test dell’EBA, l’Unione Bancaria, tutti temi che saranno importantissimi durante il semestre italiano.
C’e’ il rischio di una socializzazione devastante non solo delle perdite bancarie, ma anche di una industrializzazione del recupero crediti, la nascita di una forma diffusa e non regolata di Debitalia, di societa’ che vadano a colpire, ancora una volta, la piccola e media impresa e le famiglie in difficolta’.
La criminalizzazione della finanza e’, sempre la via di uscita semplice, per chi non capisce i problemi a fondo. E se invece si cominciasse a capire che credibilita’ ed affidabilita’ del paese, soprattutto quella politica ed istituzionale, sono fattori determinanti per il costo del denaro, che la fiducia i mercati non la negano a chi se la merita? E se cominciassimo a riconsiderare la finanza strutturata non tanto un mostro, ma uno strumento da gestire e da usare per estrarre valore dall’economia e da quella capacita’ incredibile degli italiani di sopportare fatica, lavoro, di darsi da fare e reinventarsi ogni istante?
Rassegniamoci al fatto che non esistera’ mai un futuro senza debito, che e’ parte integrante della nostra antropologia, ma potrebbe esistere un mondo senza liberta’, di azione, di impresa, e senza energia. Un paese, soprattutto uno che sembra volersi chiudere dentro un’isola, soffre di entropia, come una stella.
Soundtrack
A Weather – No Big Hope
Memoryhouse – The Kids Were Wrong