Con tutto il sincero rispetto per l’amico Emanuele Macaluso (a prescindere dai novant’anni) la sua intervista di oggi sul Corsera ad Aldo Cazzullo non mi è proprio piaciuta, anzi, mi ha persino indignato.
Il ritratto, ch’egli appena schizza di Giorgio Amendola, occhieggia tra le righe delle sue risposte soltanto come “puritano” e come velleitario artefice d’un tentativo di “spedire” Berlinguer e Macaluso stesso in Lombardia e Veneto. Ma come! Due righe prima, il nostro asserisce il “partito essere in mano” al “trio” (Berlinguer, Natta e lui) nonostante Longo segretario, il quale però avrebbe avuto il potere di stoppare la proposta amendoliana.
Poi fior da fiore cogliendo dall’intervista, si evince che Longo è stato un gran Segretario (vero) che Togliatti teneva testa a Stalin e che all’Hotel Lux di Mosca, dove venivano torturati i prigionieri politici “viveva da prigioniero” con buona pace del compagno Ercoli (Togliatti stesso) che propagandava dalla Radio Sovietica il verbo staliniano invitando i soldati italiani alla diserzione, per non dire altro.
Ma come può uno come Macaluso, amico di Napolitano, liquidare così, proprio lui, un gigante come Giorgio Amendola, che sin dal 1964, aveva avviato una profonda revisione dell’ideologia comunista, del capitalismo d’allora, della stessa socialdemocrazia nord europea proponendo una concreta necessità e possibilità di unità delle sinistre europee ed italiane contro massimalismi e burocratismi?
Il qui reiterato togliattismo di Macaluso e di certo “migliorismo” spiega bene la ragione per cui, senza alcuna Bad Godesberg, il PCI rimase PC, scivolando di sigla in sigla fino a Renzi (?) e fu il nemico accanito di quel Governo Craxi, che qui il nostro giudica tra i migliori della Repubblica.
E’ inutile prendersela con i Veltroni e i D’Alema come Macaluso fa nell’intervista: sono carne della sua carne e sangue del suo sangue.
Amendola avrà un posto nella Storia, nonostante il suo errore d’obbedienza ad un partito che non lo meritava. Altri non so.