Diario lirico vienneseBeethoven a Milano

Primo concerto in Italia   Giovedì scorso sono andata ad ascoltare il mio primo concerto qui a Milano da quando sono tornata. Ho finito di lavorare dopo le 19 e ho fatto un salto dalla zia che abit...

Primo concerto in Italia

Giovedì scorso sono andata ad ascoltare il mio primo concerto qui a Milano da quando sono tornata. Ho finito di lavorare dopo le 19 e ho fatto un salto dalla zia che abita a due passi dal mio ufficio.

Alle 20 e 30 dovevo farmi trovare davanti al Teatro Litta, sono stata invitata da un nostro caro amico di famiglia ad un concerto molto particolare.

palco teatro litta

Abbiamo ascoltato la Sonata op.10 n.2 in fa maggiore di Ludwig van Beethoven.

Ma come l’abbiamo ascoltata?

Emanuele Ferrari è ricercatore di musicologia e storia della musica presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano Bicocca, dove insegna musica e didattica della musica. Si è diplomato in pianoforte al Conservatorio di Verona, affiancando all’attività concertistica gli studi di composizione e la laurea in filosofia. Ha pubblicato  numerose monografie e saggi musicali oltre a numerosi saggi di estetica musicale, musicologia e articoli di critica musicale. Ha tenuto concerti, lezioni-concerto, master classes e conferenze in Italia, Germania, Francia, Svizzera, Brasile e Colombia come solista, ed è collaboratore del canale satellitare Sky Classica.

Noi abbiamo assistito ad una lezione-concerto.

Da principio ha suonato la Sonata poi l’ha spiegata ripetendo piccoli pezzetti alla volta ed infine l’ha riproposta al pubblico, che conscio di ciò che ascoltava l’ha goduta sicuramente più della prima volta.

La sonata op. 10 n.2 composta tra il 1796 ed il 1798, è la sesta delle 32 Sonate ed è strutturata in tre movimenti: Allegro – Allegretto – Presto. A differenza della maggior parte delle Sonate classiche, qui manca il movimento lento, inteso come movimento riflessivo e statico, di solito posto al centro dell’intera Sonata. Le sonate dell’op. 10 rappresentano un passaggio fondamentale nella carriera del compositore, assorbono e contemporaneamente superano le influenze di Mozart e Haydn e mettono delle solide basi per lo sviluppo artistico. Il percorso di Beethoven cambierà per sempre le sorti della musica, consegnerà un mondo musicale nuovo e fecondo, alle soglie del Romanticismo.

Emanuele Ferrari ha cominciato a suonare alle 21 circa. L’ho ascoltato incuriosita e ho assaporato la diversità dei tre movimenti. Il primo è il più lungo e anche il più difficile da capire per la strabiliante varietà degli elementi musicali e storici che in esso sono contenuti. Inizia con un pensiero orchestrale, si possono quasi immaginare degli archi che domandano ed un Oboe che risponde, spiega Ferrari. È il momento della sonata più legato al 1700, ci sono degli attimi in qui ci si sente proiettati nelle corti settecentesche e questi stessi momenti vengono immediatamente spazzati via dal genio di Beethoven che ci ricorda che non siamo più in quell’epoca, ma stiamo andando avanti e sempre più avanti verso una musica molto meno “per bene” e molto più impetuosa, disordinata, ma con un disordine preciso ed emozionante. Questo si palesa solo all’inizio del secondo movimento che comincia con una sublime malinconia che secondo Ferrari è  una malinconia dei ghiacci e dei deserti, una malinconia esterna a noi, universale e profonda: come fosse una malinconia del vuoto. Se Mozart interpretava l’universalità illuministica accompagnata dalla ragione, Beethoven è portavoce dell’universalità del sentimento rischiarato dalla morale secondo Ferrari.

Ascoltando più volte questo movimento mi allontano però un po’ dal suo pensiero perché mi sembra invece di vivere una malinconia molto timida, silenziosa, personale ed intima.

C’è un momento dove la mano destra, e solo lei, è la protagonista. Quel momento vorrei ascoltarlo cento volte, mi identifico in quelle note che sono quelle che amo in questa sonata.

Anche qui però, non appena ci si sente cullati da questa malinconia e questo assaggio di romanticismo, arriva il terzo movimento che spazza di nuovo via tutto, perché secondo Beethoven la prevedibilità ammazza il pezzo.

Beethoven lo inizia quasi come una fuga e deve stare attento a non farsi prendere troppo la mano, perché rischia di uscire dalla sonata. Le note si rincorrono svelte a kanon finchè il compositore ritrova la retta via.

Mi sono alzata dalla sedia divertita e molto incuriosita da Emanuele Ferrari che ha esposto in maniera concisa, chiara e coinvolgente tutti i principali temi del pezzo. È stato molto disinvolto ed era a proprio agio con il pubblico che ha mostrato grande partecipazione e interessamento.

È stato capace di catturare le orecchie e le anime degli ascoltatori.

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