(Es)cogito, ergo sumI poliziotti non sono tutti uguali: l’esempio di Roberto Mancini

    Non è vero che i poliziotti sono tutti uguali.    Ci sono quelli che indossano una divisa abusando di un potere effimero esercitato sulla pelle di chi non è in grado di difendersi.  Quelli che...

Non è vero che i poliziotti sono tutti uguali. 

Ci sono quelli che indossano una divisa abusando di un potere effimero esercitato sulla pelle di chi non è in grado di difendersi. 

Quelli che hanno applaudono senza vergogna i loro colleghi colpevoli della morte di Federico Aldovrandi, dimostrando di essere alla stregua di coloro a cui quell’esecrabile applauso è indirizzato.

E poi ci sono quelli come Roberto Mancini, un poliziotto destinato a condividere il nome e il cognome con qualcuno ben più famoso di lui. Basta mettere il suo nome su Google per accorgersi che i risultati riportano quasi tutti al campione dello sport, nonostante i meriti di questo agente di Polizia coraggioso non siano da meno. Anzi, se oggi si parla di ecomafia e se la Terra dei Fuochi è tuttora al centro della cronaca, è proprio grazie alla caparbietà di Roberto Mancini, che fu il primo a scoprire gli intrecci tra la camorra e il commercio illecito dei rifiuti tossici. 

Sarebbe stato molto più facile ignorare quell’orrore come, probabilmente, aveva fatto qualcuno che prima di lui, volontariamente o involontariamente, aveva scoperchiato quel vaso di Pandora. Lui, invece, non solo svelò immediatamente quello che aveva trovato, ma volle andare fino in fondo personalmente, effettuando sopralluoghi e ispezioni a catena. Continuò la sua ricerca anche quando non veniva ascoltato, anche quando le prove che raccoglieva finivano nei cassetti di qualche burocrate;  non si arrese finché non riuscì a far dipanare la matassa di interessi legata al business dei rifiuti tossici in Campania. 

Roberto Mancini evoca nell’immaginario collettivo la figura del poliziotto per antonomasia, quello che ci augureremmo di incontrare sulla nostra strada: lo sbirro dalla cravatta allentata e l’intuito infallibile, di quando le indagini si facevano sul campo masticando marciapiedi. Quando una prova era una prova: certa, incontrovertibile, viva.

Nella sua lunga battaglia per la verità Mancini ha toccato tutti i cosiddetti poteri forti, senza mai avere paura di mettere a repentaglio la vita. 

Da ieri Roberto Mancini non c’è più. A ucciderlo non è stata una morte violenta nè una vendetta della camorra, ma un tumore dovuto a “cause di servizio”, come recitano gli atti ufficiali dello Stato italiano che, per questa ragione, nel 2012 gli aveva riconosciuto un ridicolo risarcimento di cinquemila euro.

Questo agente semplice promosso sul campo vice commissario, avrebbe meritato molto di più da questo Paese ingrato.

Non foss’altro per averci dimostrato che non è vero che i poliziotti sono tutti uguali.

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