Quando nel 2011 scoppiarono le proteste in Bahrein furono pochi i giornali internazionali che se ne occuparono. Corrispondenti ed inviati erano bloccati in Tunisia, Egitto e Libia per coprire gli eventi tragici che accompagnavano la caduta dei leader arabi al potere ininterrottamente per anni in questi Paesi.
Ma forse alcuni ricordano le immagini suggestive delle ragazze in abaya (la tunica tradizionale di color nero che indossano le donne del Golfo) accampate a Piazza della Perla, al centro di Manama, la capitale del Bahrein, con i volti illuminati dal display dei cellulari, mentre twittavano slogan di protesta. Le manifestazioni dei giovani di questo Paese a maggioranza sciita finirono, come molte altre, represse nel sangue, e coperte dal silenzio dei media.
Il monumento che dava il nome a Piazza della Perla, oggi, non esiste piu’. E’ stato distrutto, la piazza è stata chiusa, c’è stato costruito sopra un ponte, ed è cambiato il nome della strada. Ogni traccia di quelle proteste è stata cancellata. Persino i medici che hanno prestato soccorso ai giovani manifestanti sono finiti in galera.
L’artista italiana Eva Frapiccini (classe 1978) ha realizzato un progetto fotografico in cui esplora come lo spazio pubblico viene oggi (ri)occupato dalle autorità del Bahrein. Lo ha fatto durante un soggiorno di un mese nel Paese del Golfo, presso la sede di Riwaq una galleria e spazio culturale attivo da circa dieci anni che organizza un bel festival di arte pubblica che si chiama Alwan338. Frapiccini conosce il Medio Oriente. Nel 2012 è stata ospite, al Cairo, della Townhouse Gallery, dove ha portato per la prima volta un progetto partecipativo e perfomativo di raccolta di memoria onirica, Dreams’ Time Capsule, parzialmente prodotto dal Museo di Architettura di Stoccolma. Inoltre, in quell’occasione ha realizzato un altro interessante progetto, una serie fotografica – diario visivo, che sottolinea il confine netto tra interno domestico e sfera pubblica, per una donna sola al Cairo.
La sua mostra fotografica sul Bahrein si intitola GJ_Scoprendo la Sudditanza, dove GJ sta per Golden Jail. E’ una riflessione sul benessere (esteriore) di cui godono oggi molti cittadini di questo ricco Paese petrolifero che sono pero’ imprigionati in una società che mostra segnali di una evidente assenza di democrazia. “Quello che mi ha colpito come artista, è il controllo assunto dal potere sullo spazio pubblico. La famiglia regnante dei Khalifa fa propaganda con le affissioni pubbliche in cui spiccano il volto del primo ministro e del Re, mentre cancella ogni simbolo delle proteste fra cui i graffiti che ricopre accuratamente con lo spry nero”, commenta l’artista in uno scambio di email.Le fotografie di Frapiccini documentano questa presenza in modo alienante. Fino a farci esplode in testa una domanda: fino a che punto, nel mondo votato al consumismo delle società moderne del Golfo, la coscienza di un cittadino è disposta ad accettare una situazione di sudditanza senza diritti?
FOTO © EVA FRAPICCINI
FOTO © EVA FRAPICCINI
FOTO © EVA FRAPICCINI
Le foto di Eva Frapiccini saranno esposte alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, dal 21 maggio al 7 settembre 2014, in una mostra a cui partecipano altri 9 artisti dal titolo Altro dalle Immagini. Da Guarene all’Etna 1999/2014, a cura di Filippo Maggia. “Da Guarene all’Etna” è un progetto lanciato nel 1999 dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo volto a indagare le pratiche dei giovani artisti italiani impegnati nell’interpretazione del linguaggio delle immagini.