Sale della democrazia è certamente la libertà di pensiero, di opinione e con essa la libertà di associazione, politica e non solo. Ciò è da considerarsi come diritto sacrosanto, innegabile. Eppure vi sono circostanze che tendono sempre più a verificare il rischio d’un certo “abuso al contrario”, cioè il pericolo di un’interpretazione eccessiva, troppo allargata del diritto stesso, tale da deviare e disconoscere il significato autentico delle libertà affermate. La procedura di presentazione dei partiti alla candidatura per le elezioni europee, conclusasi nelle scorse settimane, potrebbe essere considerata come un caso esemplare.
Trattasi d’una fase che ha visto esibire al Ministero degli Interni ben 64 simboli di partiti e movimenti politici, 52 dei quali sono stati poi ammessi alla competizione elettorale che avrà luogo il prossimo 25 maggio, mentre i restanti 8 sono stati – come si dice in gergo – ricusati, ovvero respinti poiché presentavano elementi di criticità. Ciò che fra strano è notare come, fra i tanti, spiccano gruppi politici dai nomi a dir poco curiosi, in alcuni casi addirittura imbarazzanti e forse poco adatti al contesto: per esempio, la forza “Io non voto”, insensata in prima lettura, visto che le elezioni consistono nel marcare una preferenza, cioè nell’esprimere appunto un voto; oppure il gruppo “Forza Juventus – Bunga bunga” che, sempre in un’ottica di primo impatto, di valori politici (almeno in apparenza) non comunica immediatamente granché; e ancora il “Movimento dei Poeti d’azione”, i famigerati “Forconi”, il “Basta tasse” e così via.
Tutti partiti sicuramente liberi di candidarsi, di essere votati e di accedere legittimamente al panorama istituzionale europeo, con programmi condivisibili, accettabili, positivi. Tuttavia, essi si presentano con una forma che potrebbe farli apparire come attori totalmente fuori luogo. C’è la sensazione che la scelta di certi nomi vada a sminuire l’importanza e l’opportunità stessa della candidatura elettorale, nonché l’identificazione stessa (o di quel poco che ne è rimasto) del singolo nei confronti di quelli che dovrebbero essere portavoce di valori forti, di tradizioni, di identità culturali, di idee aventi come fine quello di contribuire alla determinazione del bene comune.
D’altro canto è pure possibile che i partiti dagli aulici e dignitosi nomi, con una tradizione valoriale nobile e ben consolidata dimostrino, al tempo stesso, di essere in buona sostanza carenti, senza competenza o senza coerenza programmatica. Ma è il nome il primo elemento che arriva agli occhi e alla mente della gente, quello che più di altro crea attrazione, riconoscimento e, essendo in un contesto politico, sarebbe decisamente richiesta un certa dose di serietà.
I vari attori del sistema politico, dunque, dovrebbero dare una maggiore importanza alla propria forma, oltre che alla propria sostanza naturalmente, soprattutto in questo tempo di altissima sfiducia nei confronti dei partiti. E curare la compostezza del proprio nome potrebbe essere un buon primo passo per tornare ad una politica valida e davvero credibile.
Loris Guzzetti