Il 27 maggio del 1923 nasceva a Firenze Lorenzo Milani. Non dando per scontato che tutti, specie i più giovani, sappiano veramente chi è stato, vorrei soltanto ricordare qui qualche dato biografico.
Lorenzo Milani Comparetti nacque a Firenze, in una famiglia ebraica, agiata e coltissima (il nonno era uno dei più grandi filologi italiani). Dopo la maturità (aveva studiato gli ultimi due anni da autodidatta), si trasferì a Milano dove provò la carriera di pittore, iscrivendosi all’accademia di Brera. Qui, anche attraverso lo studio della liturgia, si avvicinò al cristianesimo e si convertì, suscitando un certo disappunto nella famiglia (anche se non religiosa, la famiglia lo aveva comunque fatto battezzare per evitare le conseguenze delle leggi razziali). Nel 1943 entrò in seminario, in un freddo inverno di guerra, applicandosi con scrupolo e intensità alla formazione teologica. Dopo l’ordinazione da sacerdote, nel luglio del 1947, fu mandato a San Donato Calenzano a fare il viceparroco (pievano). Qui, dedicandosi all’attività pastorale si rese conto di dover affrontare un contesto di analfabetismo giovanile, ragion per cui iniziò ad insegnare. Non infrequenti erano i suoi rapporti con i comunisti, con cui lui cercava un dialogo, pur non facendo nessuno sconto in fatto di dottrina. E tuttavia, con un anticipo inaudito rispetto al futuro Concilio Vaticano II, improntava la sua attività ad un’apertura sociale e umana che lo fece porre sotto osservazione da parte della gerarchia ecclesiastica.
È di questo periodo la pubblicazione di un libro molto importante, che gli costò anche una feroce stroncatura dalla Civiltà Cattolica, Esperienze Pastorali (1958)
Nel libro, il giovane don Milani, scriveva cose molto avanzate e non consuete nel panorama cattolico degli anni 50, specie per un prete. Per lui l’apostolato coincideva con la lotta per la giustizia sociale, traducendosi in una pratica di dialogo con i militanti del partito comunista. Il libro fu condannato dalla gerarchia, e anche per questo motivo il giovane Lorenzo fu trasferito a Barbiana, una frazione piccola e isolata della diocesi fiorentina.
« …Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi… In tutto ci sono rimaste 39 anime… In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era. L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una macchina. »
Nel 1965 aveva pubblicato una lettera su Rinascita, che gli costò l’imputazione di apologia di reato. Don Milani si era schierato dalla parte degli obiettori di coscienza al servizio militare e contro la prassi dei cappellani militari. La condanna giunse tuttavia troppo tardi, il “reo” fu portato via da un tumore, il 26 giugno 1967. Aveva 44 anni.
« Viene processato, insieme al vicedirettore responsabile di Rinascita, Luca Pavolini, per apologia di reato, a Roma dove si stampa la rivista comunista. In vista del processo, non potendo parteciparvi perché malato, prepara la Lettera ai giudici. Il 15 febbraio 1966 i giudici romani, dopo tre ore di camera di consiglio, assolvono Lorenzo Milani e Luca Pavolini perché il fatto non costituisce reato.
Don Lorenzo morirà prima del processo d’appello in cui la corte sentenzierà la condanna per Pavolini a cinque mesi e dieci giorni. Per il priore di Barbiana “il reato è estinto per morte del reo”. Una condanna. Nonostante la grave malattia viene preparata la Lettera a una professoressa, contro la scuola classista che boccia i poveri. Una rampogna agli intellettuali al servizio di una sola classe. Un’opera scritta dalla scuola di Barbiana collettivamente e che verrà pubblicata a maggio del ’67. I giudizi sulla scuola italiana sono trancianti, irrevocabili. La lettera verrà tradotta in tedesco, spagnolo, inglese e perfino giapponese» (fonte)
La sua scuola a tempo pieno, per i figli dei contadini di Vicchio, diventerà famosissima. La pratica rivoluzionaria – e nello stesso tempo estremamente semplice – è descritta da molti libri, ma la sintesi sta in queste due frasi «La scuola sarà sempre meglio della merda». (Da Lettera a una professoressa , 1967) e «I care» (“l’esatto contrario del motto fascista «me ne frego»”) appesa sulla parete di ingresso.
Per ricordare Don Milani, in un tempo in cui il suo insegnamento corre il rischio di essere solo formalmente onorato, perchè ancora la sostanza è troppo dura per essere veramente recepita – (si tratterebbe, in fondo, dell’applicazione pura e semplice dei principi della nostra Costituzione ?-) forse è bene ascoltare questa lezione: