Oggi piccolo test di trasparenza per Expo su Twitter con l’hashtag #AskExpo durato solo due ore. Il tempo comunque di una tempesta di accuse.
Tranne qualche sporadica domanda in tema, l’account di Expo – guidato per l’occasione da D. Sanzi – è stato sommerso dall’indignazione per lo scandalo scoppiato l’8 maggio con gli arresti e le tangenti.
#Askexpo non voleva certo essere esaustivo su tutta la vicenda Expo, oggi era previsto solo un appello ai volontari. Ma si è trasformato in un confronto civile: prevedibile – e sui social meglio non schivare troppo le critiche.
Dunque con buona dose di diplomazia e di strategia comunicativa, Expo ha risposto alacremente anche ai detrattori. I NoExpo c’erano, ma non c’erano i sindacati nonostante il tema era sul lavoro.
Sul lavoro e solo sul lavoro voleva rispondere Sanzi, come se questo fosse il cavallo di battaglia di Expo, ed ecco quindi le statistiche.
Più volontari che assunti: i conti non tornano e il paradosso non è sfuggito a nessuno. A questo punto se perdura l’Expo-scetticismo, non è certo per malafede.
In questa prima tornata social di Expo stasera sono mancate le domande preliminari. Per esempio: al di là di ogni scandalo cosa vuole essere Expo? Qual è l’ideale stabilito? Ho provato a chiederlo ed ecco la risposta:
Viva la politica del fare. Però, senza obiettivi prestabiliti, questa politica ha il vizio di trasformare ogni iniziativa in un gioco alla cieca.
Non vale solo per l’Italia, all’estero se lo inventano l’obiettivo: è finto ma tant’è. Così la Francia si è aggiudicata il primato culturale in Europa, con un’alternativa che in realtà non lo è.
Oggi a Bruxelles erano riuniti i ministri della Cultura europei al Consiglio. Sul tavolo c’erano le trattative sul patto commerciale Usa-Ue (TTIP) e la Francia ha ottenuto l’approvazione tedesca del piano chiamato “Eccezione Culturale”.
Per farla breve l’Ue ha fatto sua la strategia culturale francese, e ora tutti i paesi partner si allineeranno sul modello culturale francese. In Italia Franceschini ha già cominciato ad abituarci allo slogan.
In Francia la ministra francese Filippetti che incarna la battaglia per l’Eccezione Culturale riscuote per ora molte critiche: in un mare di affari altrove votati alla mondializzazione, l’operazione “Eccezione” viene vista come un rigurgito protezionista.
Eccezione culturale infatti significa escludere la cultura (gli incassi della cultura) dalla competizione globale. In termini pratici vuol dire che l’Europa si tira fuori dalla ricerca culturale, smette di mettersi in gioco, e spera di guadagnare tempo restando in bilico. Ma quanto a lungo?
Anche se l’Europa rifiuta la competizione questo non le garantisce di subire meno pressioni. Anzi se l’Europa non fa ricerca su scala mondiale, se non proietta un suo progetto culturale sul fronte globale, di conseguenza si ritroverà ad applicare la cultura degli altri.
Ovvio che bisogna prima acquisire una libertà culturale per poter reggere il confronto, ma alla base va ammesso che la competizione è un atteggiamento salvifico. Non serve chiudersi come una chiocciola in un mondo dove la cultura passa attraverso il consumo, le guerre.
Insomma l’Italia e l’Expo non hanno più colpe degli altri,sembra che questa politica auto-esclusiva sia propria di tutta l’Europa. E ora si aggiunge l’Eccezione culturale, in Francia voluta prima dalle industrie culturali e poi dal governo, e che conviene più all’America che all’Europa.
Quello che quindi dovrebbe essere un rimedio all’omologazione americana, per ora ne è anzi l’agevolazione. Expoi?