Non aprite quelle porteI dubbi del pendolare: chi sono i veri maleducati in treno?

Giovedì sera, treno per Lecco. A Monza sale uno sparuto gruppo di ragazzetti sui quattordici anni; il treno è pieno, certo non pienissimo ma comunque non così vuoto da permettere loro di sedersi tu...

Giovedì sera, treno per Lecco. A Monza sale uno sparuto gruppo di ragazzetti sui quattordici anni; il treno è pieno, certo non pienissimo ma comunque non così vuoto da permettere loro di sedersi tutti vicini. Risolvono la cosa occupando, due di loro, un paio di sedili vicini e rimanendo, gli altri quattro, in piedi nel corridoio.
Sono giovani, allegri, pieni di ormoni, ridanciani ma non maleducati.
Sono di tutti i colori, da quelli dell’Africa a quelli dell’Irlanda, sono di fattezze diverse ma in realtà tutti uguali.
Sono felici perché domani è l’ultimo giorno di scuola. E sono vivi.
Hanno una radiolina, ascoltano musica, accennano passi di danza, mangiano patatine e si prendono in giro. In sintesi, fanno i ragazzini.



Il treno, intanto, si ferma nel nulla fuori Arcore, forse per far riflettere tutti noi sulla caducità della vita. Parte Happy e, con essa, parte l’insofferenza; il convoglio, purtroppo, no. Nei dodici minuti di sosta forzata – pare a causa di un passaggio a livello mal funzionante – le occhiate verso i moderni Goonies si intensificano e le reazioni si diversificano.
C’è l’uomo trendy sui cinquanta che spiega, tutto contento, alla sua amica che lui ogni tanto mette la musica a palla (quella dei ragazzini non lo è) e balla fregandosene dei vicini; c’è l’universitaria modello che alza gli occhi al cielo, infastidita da quattro risate – tra l’altro nemmeno a volume altissimo – che probabilmente la distraggono dalla discussione via WhatsApp con Schrödinger sull’importanza di avere una particella nella scatola; c’è la signora che non sa se ridere o piangere, ma che, per non sbagliare, cambia posto.

E poi c’è lui, quello che – in maniera poco corretta politicamente ma del tutto legittima – chiameremo Stronzo Stronzi. Stronzo Stronzi, per dirla come in un famoso film, ama urlare al telefono, tenere la suoneria a volumi improponibili, occupare più spazio del necessario; allo stesso tempo, Stronzo Stronzi non ama chi urla al telefono, chi tiene la suoneria a volumi improponibili, chi occupa più spazio del necessario. In generale, chi respira. Figuriamoci, quindi, chi ride spensierato.
Stronzo Stronzi, mentre siamo ancora fermi nel nulla, comincia a girarsi verso i ragazzetti con lo sguardo scuro. Poi sbuffa. Poi cerca complicità negli occhi nella donna che gli sta di fronte (io), che però si limita a sorridergli e continua a battere il piedino cantando a squarciagola (ok, solo nella sua mente) Because I’m happy Clap along if you feel like a room without a roof. Stronzo Stronzi ripete ciclicamente queste azioni e non smette nemmeno quando il treno riparte.

A un certo punto, però, dopo che i sei sono finalmente tutti seduti vicini, l’improvviso crunch di una patatina, accompagnato da un accenno di canzoncina goliardica, si trasforma nella classica goccia che fa traboccare il vaso e Stronzo Stronzi, apparentemente dimentico dei coretti che faceva da giovane scimmiottando Amici Miei, non ce la fa più: si gira verso i ragazzini e li riprende.
Io devo scendere, ma vorrei tanto dire a Stronzo Stronzi che non è quella la maleducazione sui treni. Quella è allegria, gioia di vivere, esuberanza, adolescenza, sana stupidera. Vorrei dirgli che, in fondo, quei sei ci hanno reso più sopportabile il ritardo. Vorrei dirgli di provare a sorridere invece di incupirsi. Vorrei dirgli tante cose, ma poi immagino il suo iPad infrangersi sulla mia testa e scendo dal treno senza aprire bocca. Però, invece di inveire come al solito contro Trenord che mi ha fatto perdere (per l’ennesima volta) il pullman, canticchio Happy.
Decisamente meglio, no?

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