Come il processo di Norimberga ha messo la parola fine al nazismo in Europa, così un tribunale dovrebbe mettere fine all’ideologia comunista in Ucraina. Lo ha sostenuto lo speaker della Rada ed ex presidente ad interim Olexandr Turchynov, commentando l’iniziativa del ministero della Giustizia di richiedere la messa al bando del Partito comunista ucraino (Pcu).
Per il delfino di Yulia Tymoshenko nella nuova Ucraina non ci devono essere forze politiche «che odiano il proprio popolo» e che sostengono il separatismo. La decisione spetta ora al tribunale amministrativo di Kiev e ha già scatenato la reazione dei diretti interessati e anche quella degli osservatori. La maggioranza dei politologi ha sollevato molti dubbi sull’utilità del provvedimento, considerando il fatto che il Pcu da sempre ha raccolto molto sostegno nelle regioni orientali e la sua proibizione non rientrerebbe in quella linea di riconciliazione che il presidente Petro Poroshenko ha annunciato di voler seguire una volta finita l’emergenza nel Donbass.
La richiesta di divieto del Pcu è partita da Pavel Petrenko, ministro della Giustizia appartenente a Patria, il partito di Tymoshenko e del premier Arseni Yatseniuk, con il quale Petrenko aveva iniziato la carriera politica nel Fronte del cambiamento. L’accusa ufficiale è quella di attività anticostituzionale, sostegno alle milizie filorusse nel sudest del paese e violazione della sovranità territoriale del Paese, con l’appoggio ideologico all’annessione della Crimea da parte della Russia.
I comunisti, guidati dal leader storico Petro Symonenko, hanno risposto all’offensiva governativa che rischia di farli ufficialmente scomparire dallo spettro politico e dal parlamento di Kiev, sostenendo che il partito esprime il proprio dissenso politico con metodi assolutamente leciti e costituzionali. Inoltre, ha affermato, non ha mai sostenuto i ribelli e tantomeno ha applaudito all’annessione russa della penisola sul Mar Mero. Symonenko ha ammesso di aver accusato il governo di aver contribuito alla perdita della Crimea, aggiungendo che userà tutti i mezzi legali per opporsi all’eventuale decisione della corte che esaminerà la questione.
La crociata anticomunista è iniziata a dire il vero già prima della guerra nel Donbass e degli eventi in Crimea, quando durante le proteste contro Viktor Yanukovich a gennaio, sia Patria che Svoboda chiesero a gran voce la messa al bando del Partito comunista e quella del Partito delle regioni (Pr). L’accusa allora era solo di sostenere il regime del vecchio presidente. Poi, dopo la rivoluzione di febbraio e il conflitto separatista gli addebiti si sono moltiplicati. È stata soprattutto l’ala nazionalista guidata da Oleg Tiahnybok insieme alla coppia Yatseniuk-Tymoshenko a premere sull’acceleratore contro Symonenko e compagni, incolpando Pcu e Pr di essere la quinta colonna del Cremlino. Ma se le voci contro l’ex formazione di Yanukovich si sono ora rarefatte, quelle contro i comunisti hanno preso concretezza.
Per Symonenko l’iniziativa del governo è un attacco per far tacere l’opposizione, ma per gli analisti il divieto del Pcu potrebbe rivelarsi un boomerang. Innanzitutto perchè per molti elettori nel sudest del Paese il comunismo non è legato a ricordi negativi, ha fatto notare Evgeni Kopatko dell’istituto di ricerca R&B Group, secondo il quale una decisione del genere non risolverebbe certo i problemi dell’Ucraina e contribuirebbe ad aumentare la tensione.Alle elezioni parlamentari del 2012 il Partito comunista ha ottenuto a livello nazionale oltre il 13% dei voti (circa 2 milioni e 600mila), la maggior parte dei quali concentrati nelle regioni orientali e meridionali, oscillando su una media dal 18% al 25%, con punte oltre il 30% in alcune circoscrizioni nell’oblast di Lugansk.
Per il politologo Mikhail Pogrebinsky la messa al bando del Pcu sarebbe sciocca, perché alle prossime elezioni parlamentari i comunisti avrebbero enormi difficoltà ad entrare in parlamento e assurda perché in Europa verrebbe interpretata come un attacco al pluralismo. Secondo l’analista Andrei Zolotarev il divieto potrebbe essere però temporaneo, in vista delle elezioni che potrebbero essere indette per l’autunno inoltrato, e revocato successivamente. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza da Mosca nel 1991, il Pcu era stato vietato per due anni e solo nel 1993 era tornato ad essere attivo proprio sotto la guida di Petro Symonenko. Attualmente la frazione parlamentare conta una ventina di deputati, dopo che una decina sono usciti ufficialmente nelle scorse settimane.