Ad ascoltare una delle canzoni più popolari di Franco Battiato ci si ritrova –quasi in automatico, a meno che il cervello sia del tutto staccato dal testo- col pensare alla ricerca interiore (o forse meglio esteriore) che ognuno di noi ogni giorno intraprende. Abbiamo delle certezze? In cosa crediamo? Ci crediamo realmente?
“Cerco un centro di gravità permanente”, recita il ritornello del cantautore siciliano. Chissà se poi Battiato l’ha trovato il suo centro. Certo è che è sempre più complicato per noi: troppi modelli (quanti reali?), troppe informazioni (quante necessarie?), troppe erbe del vicino sempre più verdi (quanto veramente verdi?). Siamo confusi. E’ comprensibile, tant’è che Battiato se dovesse scrivere di nuovo la canzone potrebbe benissimo cambiare qualche pezzo. Al posto dei “gesuiti euclidei” oggi uno dei versi delle strofe potrebbe essere sostituito da “Tanti miti, falsi dei” che invece di essere vestiti “come bonzi per entrare alla corte dei Ming”, potrebbero essere i “tra-vestiti del marke-ting”.
E’ il marketing che sposta i centri di gravità. Il marketing che oggi non è più pubblicità, non è vendita, né promozione, o perlomeno non è solo tutte queste cose. Il marketing è il tessuto sociale tutto.
Nell’epoca dell’homo social o dell’homo selficus che dir si voglia, le storie, non dei prodotti, ma delle persone sono pubblicità costruite a tavolino.
Sono costruite quando riempiamo i social di fotogrammi ripiegati verso l’interno, che rimandano lati parziali dei nostri momenti, delle nostre vite, del nostro tempo. Li chiamiamo selfie, realtà a metà (in tutti i sensi, non si vede mai una figura per intero), che per certi versi, è vero, indovinano la sintesi dei nostri tempi: lavori part-time, relazioni amorose fallaci a scadenza, relazioni amicali superficiali (dettate spesso da like su facebook), religioni professate ma non praticate: praticamente vite a metà, vite incomplete. Sono foto a mezzobusto.
E allora dove sta il centro di gravità? A chi bisogna credere? E in cosa soprattutto? Difficile dirlo. Nemmeno la politica, che dovrebbe essere il lume che conduce alla ragione e quindi alla realizzazione di sé stessi, dà il buon esempio, tutt’altro direi. Si pensi a Renzi o a Berlusconi. Entrambi devono il loro successo alla promozione della propria immagine, non alle loro azioni. Sono le conseguenze della società liquida teorizzata da Bauman, più chiaramente definibile con De Niro: “Chiacchiere e distintivo”, sono (e di conseguenza siamo) solo chiacchiere e distintivo.