Ieri Matteo Orfini, il presidente del Pd, è venuto a Genova per presentare il nuovo Left Wing, la rivista nata sul web e diventata da qualche numero anche cartacea. Sono andato a sentirlo. Innanzitutto perché sul Leftwing degli esordi ho scritto un po’ di cose qualche tempo fa. E poi perché avevo voglia di salutare personalmente Matteo dopo la frequentazione bloggheristica e sulla rivista on line.
Magari lo dico per affetto, ma di Left Wing ieri si poteva parlare di più. Quella rivista lì è stata – ed è – un laboratorio politico di primo rilievo, soprattutto perché è una roba nata da giovanotti appena trentenni (allora) e ha descritto un processo inverso alla maggior parte della riviste politiche. La scommessa, naturalmente, è che la versione cartacea mantenga la freschezza degli inizi senza perdere la profondità. Un po’ come il Che della durezza e della tenerezza, diciamo.
Ma sebbene ieri di Left Wing si sia parlato soltanto en passant, in compenso – sempre a proposito di freschezza – ho sentito sottolineare da Matteo due concetti politici che mi hanno restituito, appunto, la vivacità degli anni passati. Innanzitutto la critica all’intellighenzia di sinistra (Moretti, girotondini, professoroni eccetera) sempre attenta a giudicare la politica ma incapace di proporre progetti che anticipino le crisi, indichino strade alternative, disegnino – a partire da se stesse – programmi di smantellamento dei tanti privilegi che incrostano l’Italia. E – secondo concetto – la critica al radicalismo di sinistra, da intendersi come malattia (infantile?) di quella sinistra che “nulla ha a che vedere con la tradizione del movimento operaio” (mi pare che Matteo abbia utilizzato proprio questi termini).
Ecco, anche se ieri non si è parlato diffusamente di Left Wing, credo che almeno due delle idee portanti di quel progetto – almeno quelle che ho sempre apprezzato io – abbiano avuto nel dibattito lo spazio che meritavano. E la cosa mi ha fatto molto piacere.