Non aprite quelle porteL’insostenibile fastidio del menù senza prezzi “per madame”

“Ci sono cose che non si possono mangiare. Per tutto il resto c’è un menù” recita un noto slogan pubblicitario. Sfortuna vuole, però, che alcuni di questi menù, soprattutto nei ristoranti che si cr...

“Ci sono cose che non si possono mangiare. Per tutto il resto c’è un menù” recita un noto slogan pubblicitario. Sfortuna vuole, però, che alcuni di questi menù, soprattutto nei ristoranti che si credono di un certo livello, non riportino i prezzi accanto ai piatti e sfortuna vuole anche che questi menù siano sempre rifilati a lei, affinché madame non si senta condizionata nella scelta quando monsieur la porta fuori a cena.

La presunta squisita cortesia del gesto fa, però, a pugni con la realtà: davvero nel 2014 si dà ancora per scontato che non sia madame a offrire? E davvero un menù senza prezzi facilita la scelta? Non è solo tremendamente fastidioso?
Prendiamo il caso di una coppia rodata, in cui non importa chi paga, ma quanto si paga – giustamente – sì. A lei arriva il menù senza prezzi, ma, per risparmiarsi lo sguardo oltraggiato da “Ma, madame, quello per la donna è così” del cameriere, evita di chiederne uno normale. Così non le restano che due soluzioni: chiedere al compagno il prezzo di ogni portata o farsi passare la carta una volta che lui ha deciso. Una seccatura.

Altro caso: lei decide di offrire una cena a lui. Arriva tutta contenta al ristorante, ma il cameriere la scambia immediatamente per la parassita di turno e le rifila l’odiosa lista per ragazze perbene. Allora lei ne chiede una con i prezzi, perché va bene essere generose, ma incoscienti proprio no, ed è pure costretta, per stroncare sul nascere qualsiasi sottolineatura del suo non saper vivere, a fare la splendida, buttando lì un “Sono io che offro”. Una seccatura anche in questo caso. Certo, c’è anche il piano B, quello sempre soddisfacente di far sentire un cretino il cameriere: tenere il menù senza prezzi e alla fine, quando il malcapitato posa il conto accanto a monsieur, sfoderare un bel “Lo dia pure a me. Paga madame”.

Ma veniamo al punto dolente, ovvero alla coppia non ancora rodata, in cui offre lui davvero e lei è ancora un po’ timidina; il punto è ancora più dolente se l’uscita è un primo appuntamento. Il menù senza prezzi, in questo caso, può rivelarsi devastante. Lei lo apre fiduciosa, memore degli insegnamenti sul non prendere né qualcosa di troppo economico né qualcosa di troppo caro, e scatta l’horror vacui: dove sono quei bei numerini che facilitano una scelta già resa difficile dal “no cose che rimangono incastrate nei denti, no cose che impestano l’alito”? Non ci sono, accidenti, non ci sono. E lì arriva il panico: un pollo di Bresse costerà più o meno di un filetto nostrano? Conta il tipo di carne o contano i chilometri che l’animale ha fatto prima di sacrificarsi per la causa? La frattaglie sembrano economiche, di sicuro più dell’aragosta, ma se fossero quelle di un triceratopo ricreato in laboratorio per ritrovare i bei sapori antichi? Lei comincia a sudare, rovinandosi tra l’altro il trucco, e alla fine sceglie qualcosa dall’apparenza dimessa, che magari nemmeno le va e che magari, alla fine, si rivelerà pure più cara del magret de canard che le aveva fatto aumentare la salivazione, ma a cui aveva rinunciato non conoscendo l’ultima quotazione in borsa dell’anatra. È giusto infierire così su madame? No, certo che no.

E allora basta con questi menù senza prezzi. Anche perché non tutto il personale di sala è addestrato all’ironia.
«Mi scusi, festeggiate qualche anniversario del ristorante oggi?»
«No, madame. Perché?»
«È tutto gratis».
«Gratis?»
«Sì, qui non ci sono i prezzi».
«No, ehm… è il menù per le donne. È una forma di cortesia».
«Perché non sappiamo leggere i numeri?»
Silenzio imbarazzato.
«Scherzo, non si preoccupi. È che entrambi i nostri menù sono senza prezzi. Ce ne potrebbe portare almeno uno normale, per favore?»

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