Qualcosa nel mondo del cinema egiziano si muove. In un mercato in cui la produzione è ancora dominata da tante (troppe) opere, commedie, di scarsa qualità, finalmente spuntano nuove interessanti pellicole dal realismo magico (Harag wa Marag in inglese Chaos, Disorder di Nadine Khan), o dallo stile asciutto e sperimentale (i film di Ahmad Abdalla). Accanto ad un settore documentaristico decisamente molto vivace (Al Maydan in inglese The Square, e 1/2 Thawra in italiano ½ Rivoluzione).
I protagonisti sono un pugno di registi, molti dei quali giovani. L’elenco dei loro nomi inizia con Ahmad Abdalla (Farsh w Ghata in inglese Rags & Tatters del 2013 – Microphone 2011 – Heliopolis 2010); Ibrahim El Batout (El-Shetta Elly Fat in inglese Winter of Discontent del 2012 – Hawy 2010 – Ein Shams 2009 ); Hala Lotfy (El-Khorog lil Nahar in inglese Coming Forth by Day del 2013); Magi Morgan (Asham 2013); e Nadine Khan (Harag we Marag in inglese Chaos, Disorder del 2013), solo per farne alcuni i cui film si sono visti, e sono stati premiati, in giro per festival in Italia.
Al Cairo le loro opere trovano distribuzione in alcuni cinema a cui molti in città sono affezionati come il Galaxy, nel distretto di Manyal, oppure nelle nuove, piccole sale cineforum aperte nel distretto centrale di Downtown. Zawya è una di queste, insieme a Cimatheque. Fa ben sperare anche la notizia di pochi giorni fa che, sempre a Downtown, riapre una sala storica, quella del Cinema Lido semi-distrutto da un incendio. Insomma, iniziative interessanti nell’enorme industria egiziana dell’intrattenimento (non solo cinematografico).
Si moltiplicano anche i corsi per diventare cineasti. Sembrano allontanarsi i tempi come quelli in cui il regista Ahmed Abdalla decise di iscriversi alla scuola di musica dopo essere stato respinto dal prestigiosissimo Cairo Film Institute che prende solo otto studenti all’anno.
Con Aldo Nicosia*, di cui a marzo è uscito “Il romanzo arabo al cinema. Microcosmi egiziani e palestinesi” (Carocci, 2014) provo a capire chi sono e che cosa fanno i registi di questa nuova wave. Come al solito, in sole 4 domande.
Quale tra i film menzionati qui sopra consiglierebbe ad un pubblico italiano? E perchè?
Innanzitutto al-Khorog lil-nahar, per svariate ragioni. Perché si tratta di un’opera di una regista donna (una delle tante che si sono messe in luce, parafrasando anche il titolo del film, nel cinema post 2011), e quindi riflette una sensibilità diversa rispetto a tutti i film che hanno avuto visibilità nei mass-media e successo di critica e di pubblico, firmati da registi uomini. Inoltre sembra avviare il cinema egiziano, ovviamente quello di qualità che è in netta minoranza, verso nuovi sentieri: non solo il solito melodramma romantico o a forte carica ideologica, ma il focus sull’egiziano della classe media o bassa, solo e nudo, in una realtà alienante. Inoltre, a chi fosse interessato a film ispirati dalla rivoluzione egiziana, consiglierei el-Shita elli fat (Winter of discontent) di El Batout, che ho apprezzato nei suoi precedenti lungometraggi di fiction, che tu hai citato, per il coraggio dei temi affrontati e l’originalità delle scelte estetiche.
Con tanto entusiasmo mostrato da media e festival internazionali, sembra che non ci sia momento migliore di questo per essere un filmmaker arabo?
Il problema è sempre lo stesso: i distributori e le sale, sempre poche, sono attirati dai soliti film commerciali (o demenziali). All’infuori dell’Egitto non c’è molta circolazione, almeno per le pellicole che non siano strettamente commedie farsesche, o comunque leggere. Addirittura i film degli altri paesi arabi non vengono mai proiettati nelle sale egiziane (tranne che durante i festival). Un atteggiamento di superbia o di autoreferenzialità che a mio avviso ha sempre danneggiato la qualità del cinema egiziano (portando solo ad un cieca imitazione, o egizianizzazione , di modelli hollywoodiani, in tutte le sue fasi storiche).
Ma allora il cinema egiziano fa davvero passi avanti? Ad aprile è stato messo al bando Halawet Rooh (Sweetness of Soul) di Sameh Abdel Aziz. Ispirata a Malena, film firmato da Giuseppe Tornatore con Monica Bellucci. Protagonista è l’avvenente star libanese Haifa Wehbe.
La libanese sarà ben felice della messa al bando del film, cosa che le aumenterà l’alone di inarrivabile vamp che ha già in tutto il mondo arabo. Sulla qualità di tale film non mi pronuncio perché non ho visto il film, ma fiuto che non ci sia molto da discutere. La cosa importante, invece, è vedere come in questa fase delicata, sotto Sissi (il neoeletto presidente egiziano, ndr), e in un clima di assurde restrizioni di libertà politiche, che fanno quasi rimpiangere il periodo di Morsi, si comporteranno gli organi di censura con le nuove produzioni.
Tanti filmmaker ma sempre meno spettatori inchiodati a casa davanti alle Tv satellitari. E’ vero anche in Egitto?
Beh, oramai la visione monadica, solitaria, davanti al piccolo schermo, piratata perlopiù, è un fenomeno mondiale. Tralaltro, anche il biglietto del cinema ha un costo non indifferente, per le modeste entrate di un impiegato, un’insegnante, uno studente. Per non parlare poi del contadino del delta del Nilo o dell’Alto Egitto. La musalsal (soap opera) tv è diventata il pane del cittadino arabo, specie nelle lunghe e infinite assolate giornate di ramadan.
*Aldo Nicosia è ricercatore di Lingua e letteratura araba all’Università di Bari. E’ autore del libro Il cinema arabo (Carocci 2007), nonchè di articoli e contributi in volumi sulla settima arte, la letteratura moderna e contemporanea, la censura e le dinamiche socio-politiche del mondo arabo.