La morte di un personaggio pubblico, attore , scrittore o cantante, spesso fa seguire parole di circostanza che esprimono dispiacere, un saluto, il ricordo di qualche frase o azione che si associa al personaggio. Raramente, tranne che non lo si conosca personalmente, la memoria si connota di ricordi personali associati al defunto, cosa belle che si è fatto insieme a lui, esperienze condivise.
Nel caso di Robin Williams questo sta accadendo, nei vari social. O per lo meno è accaduto a me. Come mai?
Forse perché Robin Williams non era semplicemente un attore, che incarnava diversi personaggi di un film. Robin Williams, come i grandi comici, era una maschera. Una maschera che prestava ai personaggi il suo carattere. Non era lui che si immedesimava nei personaggi, erano loro che si conformavano ad essa. Un po’ come capitava con Chaplin, con Totò. La maschera aveva in sé il carattere , e solo così poteva anche far ridere, ma soprattutto avviare l’immaginazione, la fantasia (come le grandi maschere anche lui era partito come mimo). Essa faceva talmente corpo con l’uomo, da diventare tanto più profonda quanto più esposta ai suoi drammi e contraddizioni.
La maschera si rivelava inesauribile per lo spettatore. In ogni interpretazione, in ogni nuova sceneggiatura, era sempre lei a entrare in scena, a dare una nuova sfumatura, a incrementare la complessità del suo senso in un contesto nuovo. (Questo spiega anche perchè nei pochissimi film dove essa non appariva, era come se ci mancasse qualcosa) Tu, spettatore, non vedevi un film, partecipavi ad un incontro, e questo ti attivava un sentimento trasferale, che ti coinvolgeva, ti cambiava, modellava il modo stesso di fare esperienza, da allora in poi, annodava la tua esperienza con la sua. Era come se, ad esempio, il personaggio del professore parlasse a te, interpellasse te, invitasse te a strappare le pagine dei libri noiosi, a gustare e cercare il senso della vita, a esercitare lo spirito critico, ad aver diritto a quel tipo di insegnante, a essere tu stesso un insegnante come lui…
Questo spiega perché molti messaggi di cordoglio, da parte di semplici spettatori, sono formulati in prima persona. Ed ecco perché ricorre spesso, tra questi, l’appellativo con cui il suo personaggio voleva che lo si chiamasse ne l’Attimo fuggente (The dead poet society) . Il richiamo «Capitàno mio Capitàno», tratto dalla nota poesia di Walt Whitman è rivolto ora a lui. E come i versi della poesia, noi anche vorremmo che si levasse sul ponte della nave, mentre tutti riconoscono la sua gloria.