Uno (quello a Karadžić) si sta concludendo e la sentenza è prevista per il prossimo anno. L’altro, quello a Ratko Mladić, ha appena cominciato la sua “seconda fase” (dedicata alle deposizioni della difesa) e difficilmente si arriverà a una sentenza prima del 2016.
(L’articolo è stato pubblicato su Rassegna Est*) Radovan Karadžić è apparso per l’ultima volta in pubblico durante il proprio processo lo scorso mercoledì 1 ottobre, presentando i propri ‘closing arguments’, l’arringa finale in propria difesa nel processo che lo vede coinvolto al Tribunale Penale Internazionale per i Crimini commessi in ex – Jugoslavia.
Karadžić (n. 1945) è stato membro fondatore e presidente del Partito Democratico Serbo (SDS) e presidente di Republika Srpska dalla creazione dell’entità (1992) fino al 1996. Il suo processo dura ormai da 5 anni.
Di cosa è accusato Karadžić. In qualità di massima carica politica della RS, Karadžić è accusato di avere partecipato a una Joint Criminal Enterprise (JCE) finalizzata a rimuovere i Croati e i Musulmani di Bosnia Erzegovina dai territori occupati dall’esercito serbo durante la guerra del 1992-1995. Gli sono state contestate le accuse di genocidio (quest’accusa limitata al solo caso del massacro di Srebrenica, nel 1995), crimini contro l’umanità (persecuzioni, stermini, assassinio, deportazione e atti inumani) e crimini di guerra (atti violenti il cui scopo principale è diffondere il terrore nella popolazione civile; attacchi contro la popolazione civile; presa in ostaggio di personale delle Nazioni Unite).
La difesa. Karadžić finora ha deciso di difendersi da solo, una possibilità che è riconosciuta dalle regole sul funzionamento del tribunale, anche se lo ha comunque assistito un team di avvocati. Finora l’ex presidente di Republika Srpska ha cercato di provare la propria innocenza sostenendo – tra le altre cose – di “non sapere alcunché a proposito del massacro di Srebrenica“. Karadžić, nel corso del processo, si è dapprima rifiutato di riconoscere la legittimità del tribunale. Ha anche cercato di domandare un nuovo processo, sostenendo che la procura avrebbe tenuto volutamente nascosti 424 testimoni e 211 documenti che avrebbero aiutato la difesa. Nella sua arringa conclusiva (che sarà l’ultima sua apparizione pubblica prima della sentenza) ha dichiarato che “non è esistita alcuna pulizia etnica sistematica nel territorio sotto il controllo dell’esercito serbo“. “Sono sempre stato un ottimo amico dei Croati e dei Musulmani, i Serbi erano con le spalle al muro e si sono comportati in quella circostanza molto meglio di chiunque altro”.
La sentenza. Sarà emessa probabilmente nel corso del prossimo anno. La pena richiesta dall’accusa è la massima, 40 anni di reclusione, che vista l’età dell’imputato si tradurrebbe de facto in un ergastolo.
Se il processo a Karadžić sembra essere giunto ormai al capitolo conclusivo, quello a Ratko Mladić (n. 1942) avrà inevitabilmente dei tempi più lunghi. Mladić, arrestato nel maggio del 2011, era il comandante in capo dell’esercito dei Serbi di Bosnia. Il suo processo è iniziato nel maggio del 2012 ed è ora entrato nella sua seconda fase: terminato l’esame dei materiali dell’accusa, il 19 maggio 2014 la parola è passata alla difesa.
Mladić, anch’egli accusato di avere partecipato alla JCE al fine di espellere la popolazione non-serba dall’area sotto il proprio controllo, deve rispondere di undici imputazioni: due per genocidio (di cui una riguarda specificamente quanto avvenuto a Srebrenica); e altre nove per crimini contro l’umanità e crimini di guerra (incluso il bombardamento e gli attacchi contro la popolazione civile di Sarajevo).
Per Ratko Mladić uno dei problemi principali è rappresentato dalle sue condizioni di salute, le quali fin da subito (come ricorda anche un recente articolo apparso su ‘Foreign Policy’) hanno influito enormemente nello svolgimento del processo, causandone più volte il rinvio, e facendo temere (questa è, quantomeno, la preoccupazione espressa dai familiari e dalle associazioni delle vittime) che l’imputato possa morire prima di ricevere una condanna definitiva di colpevolezza dal Tribunale dell’Aia, similmente a quanto successo in passato con Slobodan Milošević.
Finora la difesa ha decisamente respinto ogni capo d’imputazione nei confronti dell’ex generale, chiedendone anzi il rilascio in primavera e l’assoluzione da ogni accusa. A fare maggiormente discutere è stato, comunque, il contegno avuto fino a qui dall’imputato, che ha definito “satanico” il tribunale dell’Aia e che, apparentemente, prova un certo divertimento nella comunicazione con il pubblico e con i testimoni. Nel corso della sua prima apparizione in tribunale Mladić mimò – a quanto pare, non ripreso da alcuna telecamera o macchina fotografica – il gesto di tagliarsi la gola con un dito, come a minacciare i presenti. A causa del suo comportamento, il tribunale ha anche deciso di riprenderlo costantemente durante le sedute in aula. Se le tempistiche del processo a Karadžić saranno rispettate anche in quello a Ratko Mladić, è lecito attendersi che una sentenza potrà difficilmente essere emessa prima del 2016, come confermato dal presidente del TPI, Theodor Meron.
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