L’insostenibile pesantezza dell’essere italianoC’eravamo tanto odiati. I retaggi più tristi di Serbia – Albania.

"Per quanto ci riguarda, il 14 ottobre passerà alla storia come la grande vergogna serba. Dopo circa 40 minuti di gioco corretto, i tifosi sfondano la recezione, entrano in campo e picchiano, sping...

“Per quanto ci riguarda, il 14 ottobre passerà alla storia come la grande vergogna serba. Dopo circa 40 minuti di gioco corretto, i tifosi sfondano la recezione, entrano in campo e picchiano, spingono e calciano i giocatori della nazionale albanese. La partita viene sospesa”.
“L’Albania è responsabile della sospensione, è colpevole di una vera e propria provocazione politica. Si potevano vedere i rappresentanti albanesi con i colori e bandiere dell’UCK”.
La prima citazione è un comunicato in tempo reale di Albania News. La seconda, come potete intuire, sono le parole della federcalcio serba a cui si è unito anche il primo ministro Vucic. Dichiarazioni contrastanti, contradittorie, prevedibili. Parole prevedibili com’era il rischio di disordini dentro e fuori lo stadio. La UEFA in queste qualificazioni ha già evitato incroci pericolosi: Russia-Ucraina e Spagna-Gibilterra non si troveranno mai faccia a faccia, almeno ai gironi. Com’è possibile che ai piani alti della federazione calcistica europea non abbiamo pensato alla delicatezza di un tale confronto nei Balcani?
In verità c’avevano provato. Era stata vietata la trasferta ai tifosi albanesi ma, per loro sfortuna, i Balcani sono un miscuglio di culture ed etnie. Di albanesi, quindi, ce ne sono dappertutto. Giocare in campo neutro sarebbe stata la soluzione più sensata.
Lo stadio di Belgrado di situazioni simili ne ha già viste tante, troppe. Il derby più feroce era quello tra Partizan Belgrado e Stella Rossa: durante il periodo di Tito il Partizan era la squadra della federazione jugoslava (tanto che il presidente del club girava a turno tra gli stati che la componevano) mentre la Stella Rossa era la squadra per eccellenza dei nazionalisti serbi. I confronti erano sempre aspri ma gli equilibri furono tragicamente inclinati all’inizio del processo di disgregazione della Jugoslavia. I tifosi della Stella Rossa diventarono presto paramilitari: stupri etnici e guerriglia durante la settimana, la partita alla domenica. Arkan (all’anagrafe Zeljko Raznatovic) passò da capo ultras a spietato generale delle sue “tigri”, persone normali ma che dagli episodi di Bijelijna si incarnarono nella violenza più pura.
13 maggio 1990, stadio Maksimir di Zagabria: ai primi albori dell’indipendenza croata si gioca DInamo Zagabria – Stella Rossa. L’odio etnico viene manifestato per la prima eclatante volta in uno stadio di calcio, inquinando quello che era uno degli sport più seguiti (e più riusciti, bisogna dirlo) della zona balcanica. Non basta andare indietro di soli 15 anni, non basta portare la memoria solo ai fatti in Kosovo per spiegare gli avvenimenti di questo triste 14 ottobre.
Ripercorriamo brevemente quanto accaduto: i tifosi albanesi, al quale era stata vietata la trasferta, si presentano fuori dallo stadio ma non possono entrare ed i subbugli, stranamente verrebbe da dire, non cominciano subito. E’ al 40′ del primo tempo che un drone sorvola il campo di gioco di Belgrado con appesa la bandiera che riconduce alla “Grande Albania”, ovvero i confini albanesi che i nazionalisti riconoscono legittimi dopo l’indipendenza del 1912. Mitrovic, serbo e giocatore del Friburgo, lo ferma e cerca di abbaterlo quando improvvisamente si trova accerchiato dai giocatori albanesi: scoppia il caos. I più feroci ultras serbi si catapultano in campo, il capitano albanese Lorik Cana ha una delle tante collutazioni con i serbi ma gli albanesi sono comunque costretti da una veloce fuga. Riconosciamo anche una vecchia conoscenza di casa nostra, Ivan Bogdanov detto il Terribile.
La partita però non è finita, continua infatti sull’opinione pubblica e nei rapporti diplomatici. I quotidiani accusano le varie nazioni a vicenda, gli albanesi accusano i serbi di aver creato di proposito un ambiente ostile intonando cori che recitavano grossomodo “a morte gli albanesi”. La partita non è finita e, come tante cose nei Balcani, probabilmente non finirà tanto presto. Il triangolo Serbia-Albania-Kosovo è infuocato da secoli, ma per partire ad elencare i fatti dai fatti di Kosovo Polje sarebbe troppo lungo. La questione da mettere in evidenza è dunque una: come testimoniano anche le parole dei maggiori leader in questi giorni, i Balcani restano tuttora schiavi della loro classe politica e degli antichi odi che continuavo a trapelare. Se fosse confermata l’ipotesi che tra i partecipanti ai vari disordini dovuti al drone ci fosse stato il fratello del premier albanese Edi Rama, Olsi Rama, non sarebbe altro che un altro passo falso nei rapporti delle nazioni. Tra una settimana proprio Edi Rama sarebbe dovuto volare a Belgrado per un viaggio diplomatico, il primo dopo 68 anni di astio tra i due paesi. Belgrado e Pristina aveva inziato di nuovo dei tesi rapporti diplomatici nel 2013, dopo l’avvio del processo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo promosso dall’UE. Quali saranno i retaggi di questo episodio?
Questa volta non c’è da incolpare il calcio. Il bellissimo sport del pallone è stato solo un tramite per l’odio, che sarebbe scoppiato in una qualsiasi altra manifestazione. I nazionalismi nei Balcani sono da sempre pericolosi, ce lo insegnano da ultimi proprio individui come Milosevic, Tudjman o Tachi, protagonisti in negativo degli ultimi anni bellicosi dei Balcani. Equilibri fragili che nazionalismi come quelli che abbiamo già visto non dovrebbero mai rompere.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club