Vanilla LatteGenova. La solitudine, l’angoscia, la rabbia

È colpa dell'acqua. O forse, è più colpa dei modelli matematici delle previsioni. No, è colpa dell'ARPAL, che non ha dato l'allerta. Anzi no, è colpa del Comune e dei municipi che non hanno pulito ...

È colpa dell’acqua. O forse, è più colpa dei modelli matematici delle previsioni. No, è colpa dell’ARPAL, che non ha dato l’allerta. Anzi no, è colpa del Comune e dei municipi che non hanno pulito i tombini. Non scherziamo: è colpa della burocrazia e della giustizia amministrativa, che non hanno permesso di sfruttare gli investimenti. Figuriamoci, è colpa della Provincia e della Regione, che non hanno pulito i torrenti e non hanno fatto abbastanza. Piuttosto, è colpa del cemento, di chi ha costruito, dei condoni. Anzi no, è colpa dei cittadini, della loro mancanza di cultura di protezione civile. È colpa di tutti. È colpa di nessuno. E nel frattempo, mentre impazza l’allerta-scaricabarile, molto più forte della allerta-maltempo (inesistente, assente, in ritardo?), a circa tre anni dalla tragica alluvione e dalle vittime, dalle polemiche, dallo sgomento del 2011, Genova è di nuovo sott’acqua. Genova è di nuovo sommersa dal fango. Genova è di nuovo sola.

La solitudine, l’angoscia, la rabbia. La solitudine di una città – o meglio, di una regione – che, ormai da tempo, ha smesso (forse, volontariamente) di essere tra le “big” nazionali, un po’ perché sempre meno rilevante, un po’ perché troppo intenta a chiudersi nel suo immobilismo, un po’ perché dimenticata dal resto della nazione. La solitudine di una città circondata da infrastrutture vecchie, obsolete e inadeguate, tra una ferrovia d’antiquariato, una autostrada a due corsie (quando non ci sono lavori in corso: dunque, mai) e un aeroporto declassato. Un territorio regionale non facile da raggiungere, difficile da abbandonare, e che, per giunta, molto spesso offre poche motivazioni per essere raggiunto. La solitudine di una città che, un po’ come le sue squadre di calcio, è più avvezza alle delusioni che alle soddisfazioni, più incline a subire e soffrire, anziché esultare e festeggiare, spesso e volentieri nell’indifferenza generale. Ma anche sempre pronta a rimboccarsi le maniche, ad affrontare da sola le difficoltà e a togliersi di dosso il fango, uscendone sempre a testa alta. Con le proprie forze. Con il cuore.

La solitudine e l’angoscia della città sono state ben sintetizzate, per non dire incarnate, nelle drammatiche ore la notte tra giovedì e venerdì, da Primocanale. Emittente privata a carattere locale. Piccola, se paragonata ai giganti dell’informazione. Ma da anni a questa parte – come ricorda anche l’autorevole Aldo Grasso nel suo libro “Il bel paese della tv”, in riferimento al fatti del G8 del 2001 – per i genovesi e per i liguri, Primocanale è come la CNN, meglio di BBC. Non solo per la professionalità dei suoi giornalisti, ma perché c’è, quando serve. Quando succede qualcosa sul territorio della Superba, o nelle immediate vicinanze, si ha la certezza che Primocanale è la prima ad arrivare sul posto per riportarlo dal vivo, a dispetto dei limitati mezzi di cui può disporre una rete locale. E questo è avvenuto anche giovedì 9 ottobre 2014: dopo le 22.00 e in tarda serata, mentre la pioggia cadeva incessante, i torrenti si gonfiavano e si preparavano a esondare (cosa poi effettivamente avvenuta), mentre su SkyTg24 c’era la rassegna stampa, su RaiNews24 si parlava di cinema, su TgCom24 c’era lo sport e sulle reti generaliste c’era la programmazione generalista, Primocanale, con il volto – un po’ provato – di Francesca Baraghini e poi di Nur El Gawohary, è stata la sola a informare i cittadini sull’evolversi della situazione. Con i collegamenti dalle vie inondate, il numero verde per gli spettatori per le informazioni utili, gli hashtag sui social network, Primocanale è stata la prima – e per lunghe ore anche la sola – ad approfondire l’argomento, anche alla presenza del direttore Luigi Leone, con una lunga diretta notturna: qualcosa di impensabile, a livello locale. Un vero esempio di servizio pubblico. Il solo, in quei momenti angoscianti e infiniti. Tutti gli altri media, locali, regionali e nazionali, si sarebbero poi affiancati più tardi.

L’angoscia di assistere inermi, ancora una volta, a una tragedia mentre si consuma. L’angoscia di vedere l’acqua salire, con la consapevolezza di non poter fare nulla per fermarla. L’angoscia di monitorare costantemente il livello di rii, torrenti, fiumi, con il timore che la pioggia battente possa farli esondare, provocando danni incalcolabili. Quindi, la rabbia. La rabbia di una città esasperata, colpita da un fenomeno analogo solo tre anni or sono. La rabbia dei cittadini che si chiedono cosa sia cambiato, da allora, visto che il risultato è simile, se non analogo. La rabbia di una popolazione che, da mesi, se non da anni, è costretta ad ascoltare (o meglio, subire) dibattiti sul trasporto pubblico, sulle discariche dei rifiuti, sulle società partecipate, sul porto di Genova targato Renzo Piano, sul progetto degli Erzelli, sulla Gronda, sul Terzo Valico, sul rimpasto di Giunta, sulle primarie del PD, mentre nel frattempo poco, nulla, o comunque non abbastanza, evidentemente, è stato fatto alla voce “dissesto idrogeologico”.

E qui non è questione di “benaltrismo”. Perché ben vengano la Gronda, il Terzo Valico, il nuovo porto di Piano: anzi, fate più veloce. Ma se la città non è nuova a subire fenomeni di questo tipo, anche contando morti, forse il capitolo “alluvione”, più che una delle priorità, dovrebbe essere la priorità assoluta, prima di ogni altra cosa. Ecco che così si aggiunge ulteriore rabbia: quella di una città che, dopo non essere stata informata di un’allerta meteo, dopo che la principale indicazione delle istituzioni è stata “restate ai piani alti e non uscite di casa”, ora chiede – legittimamente – risposte. Perché, senza instaurare processi di Norimberga o trovare capri espiatori, ancora una volta “la verità deve venire fuori” e “dobbiamo fare in modo che tragedie di questo tipo non si ripetano più”: proprio come diceva il Sindaco Marco Doria, nel 2012, celebrando il primo anniversario della tragedia. Questa volta con la speranza, forse vana, di non trovarsi spettatori del solito scaricabarile tra istituzioni, caratterizzato dalla consueta alta pressione delle parole unitamente ad anemia di fatti. Tutto questo, mentre Genova si rimbocca le maniche, e affronta per l’ennesima volta il fango. Da sola. Con angoscia e rabbia.

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