La cosa più interessante del fenomeno ISIS è probabilmente il fatto che si innesta direttamente nel nostro immaginario cinematografico e nella nostra iconografia. I terroristi dell’ISIS non sono semplicemente malvagi, sono gli antagonisti perfetti che abbiamo immaginato e distribuito nei cinema fino a ieri, come il rovescio immaginifico dell’Occidente.
Che sia così quelli dello Stato Islamico lo ribadiscono apertamente con queste narrazioni, che paiono confezionate più per noi che per loro.
Non si tratta solo di mera propaganda. Le esecuzioni in video HD ottimizzate per YouTube, gli ostaggi che recitano come comparse di un film d’azione, queste forme spudoratamente pop di terrorismo, portano la guerra santa sul piano di un genere narrativo, quello della fiction, che l’Occidente ha largamente esplorato nei videogiochi e nei film.
Si ha così l’impressione che l’attuale tensione geopolitica davvero non abbia più molto a che vedere con Maometto, Carlo Martello, Poitiers e Roncisvalle.
Quello fu il peculiare momento di generazione di un epos europeo, la Chanson de geste, che unificava e rifletteva il consolidarsi di un mondo continentale sotto l’egida di una sola scrittura e di una sola legge, ma che, come il mondo romano di cui era erede, trovava ancora la sua espressione massima nel confine. La guerra coi saraceni fu guerra per i confini di un mondo cristiano, insieme teologico, politico e letterario, e il loro contenimento costituì la difesa dei limiti di un’area giurisprudenziale, linguistica e politica. Si trattava della difesa di un immaginario.Questo, al contrario, appare il momento in cui quell’immaginario è giunto alla sua massima espressione e al crocevia di un paradosso. L’Occidente globalizzante fa oggi l’esperienza di un potere tecnologico e narrativo assolutamente infinito, in grado di imporsi ovunque e comunque, o meglio di scoprirsi come sempre-già-affermato. Come conseguenza di due guerre mondiali abbiamo assistito alla costituzione di catene planetarie di distribuzione della vita e della morte, di un sistema di alleanze che garantisce una supremazia bellica sul mondo, di una rete di informazioni multimediali che abbatte lo spazio e il tempo, e della gestione di un mercato omogeneo e omogeneizzante della moneta e della merce.
Proprio per questo l’Occidente esperisce oggi tutta la paradossalità dell’assenza di un’intercapedine di confine, e soprattutto della cristallizzazione di una narratività che non ha altro oggetto che sé. L’Occidente parla di sé, esporta sé, combatte sé, e produce in se stesso le sue metastasi. I mostri di questo cosmo chiuso non si generano così oltre le Colonne d’Ercole del suo universo, ma all’interno di un orizzonte già compiuto, secondo geometrie mimetiche e proiettive quasi perfette, come momenti trasparenti e sempre-già-dati di un’unica struttura.
C’è da chiedersi, probabilmente, come ci salveremo dalla nostra stessa fantasia, e dalla violenza che scaturisce da questa pietrificazione della storia.