A ormai sei mesi dall’introduzione delle prime sanzioni di Unione Europea e Stati Uniti contro la Russia è possibile fare un bilancio provvisorio sulla strategia occidentale nei confronti di Mosca nella cornice della crisi ucraina, basandosi da un lato sugli aspetti economici, dall’altro sugli sviluppi politici.
Dal primo punto di vista è evidente che gli effetti dei provvedimenti hanno creato notevoli problemi, appesantendo sia la situazione congiunturale in Russia, sia provocando danni a settori di alcuni economie europee ben legate a Mosca, soprattutto Germania e Italia, ma non solo. Meno evidenti per non dire nulli sono i rimbalzi sugli Stati Uniti. Dal secondo punto di vista è altrettanto chiaro che il Cremlino non si è certo impressionato e non ha cambiato linea nella propria politica nei confronti di Kiev.
C’è dunque da chiedersi se e a cosa servono le sanzioni. Se l’obbiettivo è quello di costringere Vladimir Putin a fare dietrofront e ripensare l’approccio verso l’ex repubblica sovietica, sei mesi non sono stati certo sufficienti. Ed è difficile che i prossimi sei portino un cambiamento. Se invece lo scopo è quello di indebolire ulteriormente l’economia russa, allora pare che il gioco valga la candela, soprattutto tirando le fila da Oltreoceano.
In questa prospettiva rientrano le accuse mosse da Mosca a Washington di puntare ad un cambio di regime in Russia. «L’Occidente sta dimostrando senza ambiguità non di voler costringere la Russia a cambiare politica: vuole arrivare ad un cambio di regime», ha detto recentemente il ministro degli esteri Sergei Lavrov, che citato dalle agenzie ha espresso chiaramente il parere condiviso da Putin che le sanzioni devono essere tali da distruggere l’economia e provocare proteste popolari. Per Mosca l’Occidente non punta insomma «a cambiare la politica» russa, «cosa di per sé illusoria», ma a «cambiare il governo».
L’interpretazione del Cremlino è sicuramente discutibile, ma il dato di fatto è proprio che le sanzioni a livello politico non hanno avuto nessun effetto positivo per la soluzione della crisi ucraina e hanno spinto anzi la Russia su posizioni più nazionaliste, rafforzando lo stesso Putin e marginalizzando indirettamente la già debolissima opposizione liberale.
Ufficialmente l’Unione Europea mantiene ancora una linea dura e unitaria sulle sanzioni, ma è palese già ora che non tutti sono d’accordo, non solo con un eventuale altro giro di vite, ma nemmeno con il mantenimento, alla luce del fatto che gli effetti sono negativi su tutto il fronte. Prima vengono allentate, meglio è. Per tutti, anche per l’Ucraina.