Nella attuale situazione di magra economica e di obbligata cecità di orizzonti innovativi ,chi grida “bisogna fare le riforme”, perché tutto si rimetta in moto, gode di una fama apprezzabile alla pari di altri , che dichiarano e protestano che non si può ridurre di una percentuale considerevole i servizi di tutto il welfare.
Secondo noi ,entrambi i fautori delle rispettive posizioni hanno ragione, perché le argomentazioni sono motivate e comprensibili,ma tuttavia… fino ad un certo punto.
Quel punto sono i numeri,i saldi , i conti e la sostenibilità di ciò di cui discutiamo sia che si tratti di politica per l’impresa,di giustizia,ed in generale del sociale. A noi sembra perciò che nessuna fazione stia attenta al quadro generale e alle inevitabili conseguenze in altre parti del sistema di ogni mossa intrapresa.
Abbiamo capito che tutto si tiene,quindi sia la crescita economica sia il debito abnorme sia l’ingiustizia sociale, e sia la difficoltà a riprendere lo sviluppo: tutto dipende dallo stato delle cose,così come si presentano, e dalle scelte o non scelte decise ora e nel passato.
Analizziamo il cuore delle rispettive posizioni, dei riformisti tout-court e dei conservatori dello status quo o quanto meno di coloro che desiderano mutarlo con gradualità.
A)Per i riformisti : la crescita dell’occupazione,dei consumi interni e degli assegni minimi vitali di cittadinanza dipendono da un grappolo di riforme quali la flessibilità sul lavoro,la giustizia e la P.A. più snelle,l’abbassamento delle tasse alle imprese ,la diminuzione generalizzata delle tariffe e del fisco nonché dal sostegno alle famiglie,etc. Risparmiando sulle spese istituzionali correnti, sugli sprechi e sulla corruzione che nello stato si annidano, si risparmierebbero circa 60 mld addirittura il primo anno e successivamente altri mld in diversi anni. Denaro fresco che servirebbe per lo sviluppo,la defiscalizzazione e le coperture del welfare essenziale.
OK! Il conteggio di questo provvidenziale saldo è eseguito calcolando la spesa-debito odierna di 2000 mld e passa…di cui solo 800 mld per l’apparato pubblico. In pratica ,”sgrassando” tale gigantesca somma si hanno delle liquidità disponibili per i nostri progetti di sviluppo. Le riforme importanti per la crescita e la tutela universale si farebbero pertanto con i soldi della differenza tra l’astronomico tetto del debito e la somma di debito rimanente dopo la quota dei tagli(!?). Qualcuno più ottimista sosterrebbe che notevoli risparmi si farebbero anche solo eliminando gli sprechi e concentrando gli acquisti di beni, di servizi e degli appalti , nella parte degli 800 mld ,riguardanti la P.A. nel suo insieme.
B)I conservatori o i favorevoli al cambiamento graduale non intendono tagliare ulteriormente sul welfare o sull’apparato statale perché secondo loro già si è razionalizzato a sufficienza. Bisogna garantire il lavoro ed il livello attuale dei servizi ,cambiando le regole della UE,della BCE e della BEI nonché dei fondi di solidarietà europei. Altrimenti cadremmo in una suicida recessione. Viene spontaneo però chiedersi come salvare questo complesso di servizi,sia quantitativo sia qualitativo, con una persistente penuria di soldi e nell’ impossibilità di fare altro debito.
Sulle due posizioni frontali è opportuno fare un commento .La prima proposta rimarca le qualità e le virtù evidenziate dalla nostra politica che,operando in tale modo, risparmierebbe sugli sprechi per fare crescita. Ed è una posizione che abilita “le differenze contabili”rispetto a dei costi standard dei servizi welfare,riversandoli sull’intero sistema. Secondo noi è una scelta responsabile, ma inadeguata perché certe condizioni non sono ancora chiarite. Innanzitutto,quanto tempo abbiamo per implementare le riforme : uno,due o più anni e le “differenze risparmiate” sono subito esigibili,in che misura o devono essere coordinate ,ad esempio ,con una crescita ipotizzabile,che per alcuni esperti sarebbe automatica ,dopo le riforme,ma che ancora non c’è? Si dice tuttavia che l’Italia abbisognerebbe di misure shock ,non di interventi parcellizzati,e questi apparirebbero come rimedi parziali perché nel percorso dell’agenda qualche imprevisto potrebbe capitare. Non sarebbe meglio procedere quindi nelle riforme con gli effettivi risparmi accantonati,cioè gli avanzi di bilancio annuali,sebbene nel primo biennio ci si attenda una dose di incertezza, utilizzabile comunque come approfondimento della questione? In sintesi,questa prospettiva,secondo noi, peccherebbe di imprecisione perché o è una fattispecie del temuto “fiscal compact”oppure ha un crono-programma di tagli-investimenti che meriterebbe un approfondimento.
La seconda posizione afferma ,per contro,che per crescere abbiamo bisogno di cambiare delle regole comunitarie,infischiandocene ,se occorre, delle imposizioni ed anche del regime del fiscal compact . Abbiamo bisogno di flessibilità e di solidarietà per venire fuori dall’impasse Questa posizione riabilita la forza negoziale della politica per addolcire le regole ed i vincoli asfissianti della politica comunitaria. Si parla di BCE come banca che garantisce i titoli di stato con tassi d’interesse adeguati alle possibilità di risposta economica dei diversi paesi,di modifica delle finalità e degli scopi del M.E.S. (meccanismo europeo di stabilità) e di altri strumenti perequativi. Ma anche questa posizione è troppo fiduciosa nella comprensione altrui , soprattutto dopo che questi hanno già operato delle riforme socialmente pesanti per stare ai patti o comunque sono stati più parsimoniosi e vigili nel diminuire il proprio debito: in concreto riteniamo che tali ipotesi siano un credito ed una speranza mal riposti.
Per fare chiarezza sulle conseguenze sociali e politiche delle argomentazioni di questi due fronti, diciamo che entrambe le posizioni antitetiche sono inefficaci perché non tengono conto dello stato odierno dei bisogni e degli interessi degli Stati membri,visioni e tornaconti che oggi rendono insormontabili i reciproci veti a causa anche delle difficoltà macro e micro finanziarie ,inoltre ci sembra che entrambe sono dentro una logica di soluzioni economiche rigide e datate , mentre si avrebbe bisogno di cambiare anche la prospettiva, la logica politica e tecnica , con cui si affronta la crisi generale. Logica e prospettive innovative su cui sarebbe più facile accordarsi piuttosto che attardarsi a litigare sul rispetto dei legami dei trattati,su chi ha riformato che cosa ,quando e con quanta radicalità, nonché sui gradi di flessibilità da accettare al limite del 3% di sforamento debitorio sul PIL. Interessi e limiti che nella condizione attuale di deflazione recessiva generalizzata sono esclusivamente chiacchiere perché ,con una efficace similitudine ,quando uno ha l’acqua alla gola,se è sano e lo desidera, dovrebbe tentare l’impossibile per salvarsi. E l’Europa di questi tempi non è messa bene e dovrebbe dimostrare la voglia di migliorare. Pensiamo infatti che le due posizioni contrastanti circa le modalità di uscita dalla crisi siano inadeguate per carenza di logica , di prospettiva ed assai chimeriche ,sia per quanto concerne il nostro e gli altri paesi membri. Perseverando su quei contrasti sembra che siamo attanagliati in un paradosso inestricabile come il racconto del piè veloce Achille che per quanto si sforzi,dentro quelle premesse logiche,non raggiungerà mai la tartaruga che ,seppur di poco ,si è anch’essa mossa in avanti da rendere inutile la rincorsa dell’eroe. Infatti nonostante le nostre azioni,la crisi si accanisce maggiormente. Dentro quella logica e le critiche vicendevoli delle due scuole,anche per noi come Paese, è difficile uscire dal vicolo cieco del fardello del debito piuttosto che dalla frenata indesiderata dell’economia reale ,anche perché mancherebbero i soldi per riformare e riavviare un vigoroso sviluppo:avremmo minore gettito fiscale nel primo caso e ulteriore debito nel secondo , perché non ci sarà crescita. Conciliare le due vie sarebbe quasi matematicamente impossibile. Risultato più stagnazione, meno sviluppo. Infatti eseguiti i tagli,venduti alcuni gioielli immobiliari ed azionari,potremmo ritrovarci con 1660 mld di debito da onorare e con gli interessi,nessuno ci ha spiegato se le entrate fiscali della nuova situazione ci consentiranno il “tesoretto” conseguente al tetto del debito precedente o se esso sarà di meno o se comunque sarà congruo alle esigenze. Infatti non ci sono studi e valutazioni attendibili con uno Stato così obeso su quanto i tagli impatterebbero sui consumi interni e sulla eventuale contrazione del PIL.
Ammesso che i nuovi proprietari di caserme e di demanio ,in luoghi appetibili , paghino soddisfatti le tasse in previsioni di pingui sviluppi ,crediamo che comunque le entrate sarebbero insufficienti ad una politica di espansione ,di incentivi fiscali per il lavoro nonché per altre riforme. Almeno sembra che nessuno finora l’abbia detto,chiarito se,ad esempio, sono adeguate alle necessità, o è che, semplicemente, noi non l’abbiamo capito. Sembrerebbe che fatte alcune liberalizzazioni,privatizzazioni,elaborato la procedura dei costi standard,tagliato gli sprechi(magari!), tutta l’economia rimbalzi automaticamente come una molla e che soprattutto dopo la recessione e la spremitura di tasse,le imprese abbiano delle commesse e la gente ritorni a spendere speranzosa perche ormai il sistema è in movimento virtuoso. Ma nella realtà questo evento non è così scontato.
Siamo solo in una ipotesi di artificio contabile in cui i saldi delle entrate e delle uscite si riportano al pareggio algebrico solo teoricamente sulla carta. Secondo noi le vie da battere sono altre ,rispetto alle sperimentate che individuano le coperture delle riforme esclusivamente nelle tasse o in tagli da subito incisivi. Faremmo altrimenti la figuraccia di Achille.
Innanzitutto ci vogliono nuove regole europee per la stesura dei bilanci nazionali ,chi ha mai pensato ad esempio di considerare le spese effettuate per le infrastrutture e per altre opere quali gli ospedali,le scuole,il ripristino territoriale e l’innovazione come partite di giro con responsabilità in capo alla BEI piuttosto che spese a carico dei singoli Stati? Perché non sarebbe possibile che i costi complessivi delle infrastrutture e per la tutela del territorio siano ad esclusivo carico della BEI e non dei singoli stati ,i quali contribuirebbero ,solo eventualmente, se le somme comunitarie postate sono esigue ,ad estinguerli per la rispettiva parte,contabilizzata però con un tasso uguale o inferiore alla media europea degli spread degli Stati ? Perché gli investimenti degli Stati ,ovviamente previa delibera politica del parlamento europeo, non si accorpano in un unico pacchetto di effettiva responsabilità UE? Perché non si cambiano , in una situazione di emergenza, gli scopi del MES e dei Fondi strutturali europei,contribuendo con essi ad appianare le spese degli interessi o per progettare delle opere di importanza vitale per gli stati? In questo frangente la BCE quasi automaticamente farebbe le veci di banca di ultima istanza ed il mercato degli spread ,coi tassi differenti , sarebbe calmierato ,liberando risorse per gli stati ,esposti ora alla loro inevitabile oscillazione ,utilizzabili per riformare le proprie organizzazioni. Se non quelle descritte,tuttavia,ci vorrebbero comunque delle decisioni simili per la tenuta sociale e democratica del continente. Nel contempo la Ue ,unitariamente al proprio parlamento, dovrebbe monitorare e guidare le politiche industriali dei singoli paesi membri soprattutto nei settori strategici e vitali delle innovazioni tecnologiche e delle start up,e ,nei casi più gravi ,dove la crisi picchia duro,come da noi,intervenire direttamente ,con precise indicazioni ed operatività,affinché il reddito di cittadinanza o le altre forme di tutela dei cittadini-lavoratori non siano la sola panacea per contrastare la deindustrializzazione del paese. Servirebbero almeno politiche fiscali e salariali di sostegno al reddito ed ai consumi interni, finanziabili transitoriamente,come detto, coi fondi strutturali ed le dotazioni di stabilità europei.
In tali circostanze gli Stati ed ogni governo dovrebbero essere meno indulgenti con gli evasori,la corruzione ,gli spendaccioni,coloro che hanno stipendi o privilegi immeritati e spropositati ai tempi nonché verso coloro che vivono esclusivamente di rendita,senza particolari impegni(rentier).Se lo Stato spende male i suoi soldi deve essere severo con se stesso e con i dipendenti ed iniziare a smantellare e correggere gli stipendi ,le pensioni ed i vitalizi d’oro. Un esempio fra i tanti: gli assegni di quiescenza superiori ai tremila euro netti,sia nel pubblico sia nel privato, andrebbero riesaminati e sforbiciati per ragioni di equità sociale. Che meriti o che responsabilità esercitate possono vantare i dirigenti di un Paese che va male ed è in declino da tanto tempo? Inoltre ci vorrebbero dei comportamenti politici autorevoli ,comunque ligi ai principi democratici ,sebbene non sempre comprensibili e giustificabili dall’opinione pubblica ,le cui decisioni però siano assunte per il bene e per la sostenibilità collettiva. Per intenderci : non l’uso dei manganelli o delle liste elettorali bloccate ,ma nuovi comportamenti verso lo strapotere della finanza speculativa ,quando essa non si impegna anche per la stabilità politica,sociale ed economica dei paesi,maturando tale forte decisione con le opportune coperture diplomatiche, almeno a livello europeo,per non subire le distruttive ritorsioni della finanza mondiale.
Ad esempio,bisognerebbe prolungare temporaneamente con legge d’emergenza la durata dei bot ,cct , et similia a breve e medio termine ,congelare una parte degli interessi maturati per almeno una decina d’anni ,ovviamente senza massacrare i meno abbienti,anche all’interno delle società finanziarie, sino ad una soglia di trentamila euro. Certo, in questo lo Stato si dimostrerebbe fedifrago,inaffidabile verso i risparmiatori,ma forse sarebbe meglio così piuttosto che il cittadino scopra tardi che non sono stati versati materialmente i suoi contributi assistenziali e previdenziali INPDAP all’INPS o che si tassino come rendite finanziarie anche gli utili annuali dei fondi pensione privati. Lo Stato dovrebbe quindi funzionare meglio per non incappare in inefficienze contabili,di difficile lettura e non ricostruibili; in questo la politica, i governi hanno la propria ineludibile responsabilità . In momenti di difficile crisi bisognerebbe essere tutti un poco più solidali e cancellare i comportamenti distruttivi o esageratamente egoistici. Una riflessione che vale per i cittadini e per gli Stati dell’Unione. Comunque ,per ripianare il dissesto e la precarietà della ripresa economica,nel nostro paese come in tutta l’eurozona,per fugare tentazioni totalitarie,disperate ed unilaterali dei singoli Paesi,ci vuole un nuovo,diverso,costante impegno politico diretto dell’Europa e dei suoi organi di governo. E tale scelta va deliberata tempestivamente,prima della eventuale riconfigurazione della moneta unica e prima della eventuale delibera di usare temporaneamente delle monete alternative nel mercato europeo. Non è la richiesta di un sovra-potere per limitare la già debole sovranità dei Paesi,ma la domanda di un esercizio di vigilanza e di proposta che necessita di una maggiore cogenza. Per garantire la democrazia e la pace sociale. Questo sì.