Le ArgonauticheUna pietra sopra

Siamo fatti di atomi, molti atomi, tantissimi atomi: un numero così elevato che ci viene difficile riuscire perfino ad immaginarlo. La cosa affascinante è che, da un punto di vista strettamente bio...

Siamo fatti di atomi, molti atomi, tantissimi atomi: un numero così elevato che ci viene difficile riuscire perfino ad immaginarlo. La cosa affascinante è che, da un punto di vista strettamente biologico, abbiamo sicuramente un inizio, come esseri individuali, ma non necessariamente una fine.

Infatti il nostro corpo, dopo la morte, viene riciclato così efficacemente, che un buon numero di atomi che lo compongono quasi sicuramente un tempo era parte del corpo di Dante, ad esempio. O di Newton, se preferite gli accenti anglosassoni.

Un altro miliardo potrebbe provenire da Budda, da Alessandro Magno, da Chopin o da qualsiasi altro personaggio storico a piacere, ovviamente di vostro gradimento -infatti qualche altra miliardata di atomi forse proveniva da un elefante africano, da un cane rognoso o da un galeotto della fine del ‘700, ma a certe cose è meglio non pensare-. 

Per quanto però lo si possa desiderare, nessuno di noi è ancora tutt’uno con Elvis Presley o James Dean perché è passato troppo poco tempo, ma una cosa è certa: pur senza fantasticare di paradisi, risurrezioni o cose del genere, la vita dei nostri atomi, e quindi in parte la nostra, non finisce dietro una lapide, sebbene, dobbiamo farcene una ragione, è un posto in cui tutti faremo una sosta. Prima di riprendere a turbinare nell’aria e diventare chissà cosa.

In quel momento però, quello in cui c’è da scegliere la foto o la frase da incidere sul nostro marmo, ci si trova davanti ad un problema analogo a quello che hanno i romanzieri di fronte ai loro personaggi: trovare un’istantanea che le riassuma tutte, un’immagine che fermi l’essenza di quel personaggio nella nostra memoria.

Boltzmann ad esempio, fisico e matematico austriaco, ha inciso sulla propria lapide la scritta “S = k log W”, che rappresenta la descrizione della formula da lui individuata: S è l’entropia, k la costante di Boltzmann (eh beh), e log W il numero dei possibili modi in cui può essere ottenuta una data distribuzione di atomi in uno spazio (anche quelli di Elvis Presley e, in futuro, i vostri atomi, seguiranno questa legge, che vi piaccia o no).

Ma tra i fisici non è stato certo il più simpatico, l’epigrafe più intrigante è sicuramente quella di Heisenberg che, avendo scoperto il “principio di indeterminazione”, uno dei principi fondamentali della meccanica quantistica, sulla tomba ha fatto scrivere: “Giace qui. Da qualche parte”. Chapeau.

Non tutti però avevano lo stesso spirito, basti pensare ad Al Capone che, probabilmente intimorito da una ipotetica legge del contrappasso in un non ben identificato “altro mondo”, ha scelto un elpidico “Pietà mio Gesù”. Meglio tardi che mai.

E che dire di quel talento insuperato di Groucho Marx che, come epitaffio, avrebbe voluto fare incidere la frase: “Scusatemi, non riesco a stare in piedi”, ma che poi i parenti, sempre loro, hanno ben pensato di sostituire con la sola stella di David? Stessa sorte del nostro Walter Chiari che confidò al suo amico Dino Risi di voler far scrivere: “Amici non piangete, è soltanto sonno arretrato”. Purtroppo anche lui inascoltato.

Per non parlare di Charles Bukowski, con il suo “Non provarci”, o Franco Califano: “Non escludo il ritorno”, o ancora George Carlin: “Cavolo, era qui un minuto fa”. E poi ancora Vittorio Gassman: “Attore. Non fu mai impallato”, o Spike Milligan: “Ve lo dicevo che stavo male”.

Si potrebbe andare avanti all’infinito, perché anche le lapidi hanno il loro fascino, quelle degli altri ovviamente. “D’altronde sono sempre gli altri che muoiono”, per dirla con Marcel Duchamp

Insomma, trovare il senso della vita e racchiuderlo in una fotografia o in una frase non è semplice, anche se tutti sembrano sempre convinti di una cosa: che se una vita ha un senso lo si trova nella maturità, lontano dalla sbracataggine della giovinezza e dal degrado della vecchiaia. Ma questa convinzione è quasi sistematicamente ignorata da chi scrive per mestiere, che invece sa benissimo che il baricentro di una vita è spesso nascosto in pieghe assai più imprevedibili e difficili da scorgere che in una semplice frase, per quanto brillante.

Motivo per cui i libri hanno molto fascino, perché permettono di andare più in profondità di quanto si pensi. Fascino che fu finanche l’ultimo pensiero di Balzac, che sul letto di morte si lamentava: “Otto giorni di febbre! Avrei avuto ancora il tempo di scrivere un libro”!

Chi, invece, quei percorsi in apnea nelle piaghe dell’esistenza non riusciva più a sopportarli fu Cesare Pavese che, prima di farla finita, lasciò un biglietto con la scritta “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

Niente pettegolezzi sulla morte, soprattutto quella altrui. Su certe cose, effettivamente, conviene metterci una pietra sopra.

@PArgoneto

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