Tutti hanno abboccato all’escamotage sulla libertà d’espressione, ma la difesa di Dieudonné da parte di Greenwald è strumentale ed era prevedibile.
Greenwald è uno degli autori del Datagate e fra i primi interlocutori diretti di Snowden insieme a Laura Poitras il cui documentario è stato non a caso selezionato agli Oscar ieri. Anche questo rientra in un lento processo di riabilitazione del whistleblowing che ho anticipato l’anno scorso su Linkiesta.
Greenwald è da allora entrato in affari con l’iraniano (e islamico) Omidyar creando il sito di news The Intercept diventato l’editore ufficiale dei files di Snowden (a rilascio parziale). Da allora teoricamente Greenwald non è più un giornalista imparziale. Lo dimostra la sua linea editoriale, una squadra composta di ex reporter di Al-Jazeera, e una serie di approfondimenti in difesa della comunità islamica.
Quante volte Greenwald ha denunciato tracce di anti-islamismo nei suoi editoriali dal lancio di The Intercept? E non si tratta di articoli a caso: parliamo nientemeno della pubblicazione di files segreti dello Stato Americano. Documenti segreti che la prima volta che vengono presentati al pubblico sono per metà censurati e manipolati.
Assange era entrato pubblicamente in conflitto con questo nuovo tipo di pubblicazione parziale instaurato da Greenwald in contraddizione con la pubblicazione integrale e neutra sostenuta da Wikileaks. Un modo per Greenwald di evitare vertenze legali ma che di fatto rende le sue pubblicazioni limitate e soggettive, cioè non esattamente attendibili dal punto di vista giornalistico.
Eppure nonostante queste evidenze, sono tanti i collaboratori internazionali di Greenwald sparsi in varie redazioni del mondo pronti a diffondere tali quali le pubblicazioni di The Intercept senza la minima riserva, in cambio di un qualche accesso ai files (e relativi scoop). Ed è con la stessa interessata devozione che gli stessi giornalisti – compresi quelli italiani – hanno condiviso l’articolo semplicistico e fazioso di Greenwald su Dieudonné.
Greenwald fa di Dieudonné il Charlie islamico contribuendo alla divisione in nome della tolleranza religiosa. Una retorica opposta a quella laica francese che ignora la religione.
Ignorare la religione? Un passo che gli Americani non sono pronti a fare. Mentre oggi Kerry abbracciava Hollande a Parigi, la stampa americana era piena di articoli paternalistici che suggeriscono alla Francia di seguire il modello della tolleranza americana.
La tolleranza è la strada opposta della laicità, è basata sul senso di appartenenza, sulla celebrazione delle comunità, quando una democrazia dovrebbe garantire l’uguaglianza.
Greenwald con il suo “Je suis Dieudonné”, forte del consenso islamista, rema nella direzione opposta della laicità: prona la divisione intimidatoria della società in cristiani, ebrei e musulmani, riducendo tutto a questioni religiose e di appartenenza.
Non mi piace la retorica degli islamici perseguitati. Vengo da un paese, la Tunisia, dove il fallimento del partito islamista alle elezioni è stato una dura battaglia e che ha, nonostante le apparenze, pochi sostenitori.
Greenwald e il suo specialista in primavera araba Andy Carvin non hanno scritto una riga su questa inaudita vittoria democratica nel mondo arabo. E’ bene ricordarlo.
(scritto da Raja El Fani)