IotaLa nuova via della seta cinese passa per i Balcani

Tra Europa e Russia c'è un terzo attore interessato ai Balcani. Pechino è ormai un investitore di rilievo nell'intera regione, alla quale guarda con progetti relativi soprattutto a trasporti ed ene...

Tra Europa e Russia c’è un terzo attore interessato ai Balcani. Pechino è ormai un investitore di rilievo nell’intera regione, alla quale guarda con progetti relativi soprattutto a trasporti ed energia. Lo scopo? Assicurarsi una nuova ‘via della seta’ verso i mercati europei.

di Rodolfo Toè

(L’articolo è stato pubblicato in precedenza su Rassegna Est)

Pechino guarda ai Balcani. Un rapporto storico, che per l’Albania e l’ex Jugoslavia data ancora alla rottura dei rispettivi paesi con l’Unione Sovietica e all’invenzione diplomatica del movimento dei paesi non allineati. E che è stato riscoperto negli ultimi anni, come ha dimostrato il meeting organizzato lo scorso dicembre a Belgrado tra il premier cinese Li Keqiang e sedici leader nazionali provenienti dalla regione, durante il quale il governo di Pechino ha promesso di investire 10 miliardi di dollari in progetti di sviluppo nell’area.

Negli ultimi anni, la Cina ha avuto un ruolo sempre più importante in una regione depressa e alla disperata ricerca di investimenti stranieri: nel 2014, l’interscambio commerciale tra le due aree ha raggiunto la cifra di 50 miliardi di dollari, secondo le dichiarazioni dello stesso primo ministro cinese, «una cifra che tutte le parti in causa sono ben determinate ad aumentare nell’immediato futuro».

A proposito della nuova presenza cinese nei Balcani si è parlato di «nuova via della seta», con riferimento al percorso che nell’antichità legava i paesi europei al celeste impero. Finora, in effetti, la Cina è parsa interessarsi alla regione soprattutto per la sua vicinanza strategica al vecchio continente – e al mercato unico.

«Si tratta di un interesse che va ben oltre al mercato – giacché i mercati della regione possono tranquillamente essere considerati insignificanti per quanto riguarda il commercio», ha scritto Valbona Zeneli, professoressa al Centro Europeo per Studi Strategici. «Sembra anche andare oltre la semplice volontà di assicurarsi delle materie prime, nonostante i Balcani siano ricchi di risorse naturali. Piuttosto, la Cina sta guardando a come avere un migliore accesso ai mercati europei».

Le parole d’ordine per Pechino in questo caso sono soprattutto due: infrastrutture ed energia. L’approccio scelto sembra essere regionale, più che concentrato su un paese in particolare (nonostante il fatto che, nella visione strategica cinese, sia la Serbia a fare la parte del leone – come sottolinea Robert Ward dalle colonne del Financial Time, dei 4 miliardi di dollari che la Cina ha investito nella regione dell’ex Jugoslavia ben 1,8 sono andati a Belgrado, vista come snodo strategico d’importanza capitale). L’obiettivo, è quello di costruire una rete di trasporti funzionante – che permetterebbe, stando alle autorità cinesi, di ridurre il tempo di percorrenza delle merci in viaggio verso l’Europa di 7-10 giorni.

Per questo, Pechino si è interessata da subito a porti, autostrade e ferrovie. Il punto di partenza della penetrazione cinese nei Balcani è, senza dubbio, il porto di Pireo. Nel 2009, l’impresa cinese COSCO ha acquisito il 50% dei diritti commerciali dello stesso, pagando circa 500 milioni di euro in quello che è diventato il maggiore investimento cinese in Europa di tutti i tempi. Scopo dell’acquisizione è fare diventare il porto il punto di partenza di una rete che collegherebbe i Balcani all’Europa – e che dovrebbe essere percorsa, va da sé, soprattutto dalle merci cinesi. Pechino vorrebbe anche nel prossimo futuro riuscire a mettere un piede anche nei porti di Salonicco e Igoumenitsa, ma nel corso dello scorso anno sempre Li Keqiang ha stretto contatti anche con la Slovenia (per il porto di Koper) e con l’Albania (per quello di Shenjin, che si vorrebbe costruire).

Non ci sono, comunque, soltanto i porti. I Balcani, soprattutto quelli meridionali, tentano di affidarsi sempre più frequentemente alla Cina per rinnovare la propria rete d’infrastrutture. E così ritroviamo investimenti cinesi anche nella costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità che collegherebbe Belgrado e Bucarest (valore previsto dell’investimento: 800 milioni di euro, solo per il tratto su territorio serbo). Altri 800 milioni di euro verranno investiti nella costruzione dell’autostrada che in futuro collegherà la città portuale di Bar (Montenegro) alla capitale serba. Banche d’investimento cinesi sosterranno anche la costruzione di due tratti autostradali in Macedonia (Ohrid-Kicevo e Miladinovci-Stip).

Oltre alle infrastrutture, un altro tasto su cui il governo di Pechino ha battuto molto nel corso degli ultimi anni è stato quello dell’energia. Grossi investimenti sono stati effettuati in Serbia (nella centrale termoelettrica di Kostalac, con un investimento di 600 milioni di dollari) ma anche in Bosnia Erzegovina (centrali sono state costruite nella città di Zenica, a Stanari e sul bacino della Neretva) e Montenegro (nell’area montuosa di Plevlja).

Se si volesse analizzare l’azione cinese nei Balcani, si potrebbe concludere che Pechino, in questo momento, sta cercando di consolidare la propria presenza in una regione di grande importanza strategica. Si tratta di una situazione in cui ognuno trova un proprio guadagno. I governi locali ottengono un miglioramento delle proprie infrastrutture altrimenti irrealizzabile con le proprie risorse, falcidiate da anni di crisi economica. La Cina ha quello che prima di tutto manca ai paesi della regione: capitale. Pechino può contare su governi che non fanno ancora parte dell’UE (ma che hanno buone possibilità di esserlo in un futuro prossimo) e che spesso hanno una legislazione estremamente permissiva in fatto di lavoro e tutela dell’ambiente (a Stanari, per esempio, le autorità bosniache hanno deliberatamente concesso agli investitori cinesi di sforare ampiamente i limiti stabiliti per legge all’inquinamento atmosferico). E anche se di norma i lavori sono appaltati a imprese cinesi, che provvedono da sé alla manodopera necessaria reclutandola in patria, al momento la nuova via della seta sembra convenire a tutti.

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