In particolare, fra le collane dell’editore di Latina, si segnala da qualche tempo quella dal titolo Tipitondi, graphic novel interamente dedicati ai più giovani, brossurati dagli angoli smussati con storie e stili diversi ma uniti dall’ambizione di risvegliare la curiosità e “promuovere la contaminazione, l’apertura, il rispetto”, con tanto di blog dedicato.
Nella generale latitanza di proposte per i più piccoli (se si escludono i mensili Pimpa, Giulio Coniglio e G Baby), si tratta di un’occasione più unica che rara – ai limiti di perle preziose da custodire gelosamente, come La notte dei giocattoli e Viola Giramondo – per godere di opere piacevolissime sia nei testi che nei disegni, fruibili con soddisfazione a diversi livelli “da grandi e piccini”, non diversamente dai migliori libri d’infanzia che fanno volare con la fantasia, non bombardando ma suggerendo immagini e situazioni, rispettando l’intelligenza del lettore ben più che in altri contesti della fiction contemporanea.
Il caso della raccolta La principessa che amava i film horror (e altre storie di principesse) è ulteriormente interessante, perché in 144 pagine a 16,90 euro gli autori (Alessio De Santa ai testi e disegni, coaudivato per i primi da Daniele Mocci e per i secondi dai colori di Elena Grigoli) rielabora in chiave solo apparentemente sconclusionata gli archetipi delle fiabe ormai cannibalizzate da cinema e tv (anche se una certa primigenitura ce l’ha la serie Fables della Vertigo, in Italia proposte in vari formati da RW Edizioni), con finezza inusuale e divertita visualizzazione.
Le otto principesse protagoniste di questi racconti (inframezzate da altrettante vicende mute da due pagine ma spesso fittissime di vignette) sconvolgono i classici schemi del reame, del drago e del principe azzurro, fra comico e grottesco come nel Bel Paese si sa sempre meno realizzare: con metafore sottili e spiritose da cui si può perfino imparare qualcosa (oltre che scovare una miriade di citazioni, da Gustav Klimt a Jimi Hendrix). Tutta da gustare l’appendice La difficile arte del disegnare draghi, un “approccio scientifico-induttivo per le famiglie” che in sole quattro tavole illustrano con tassonomico divertimento queste creature ormai da tempo entrate stabilmente nell’immaginario collettivo.
Perché la fantasia e la curiosità traggono maggior linfa l’una dall’altra, quando si lasciano trasportare dall’ironia nella narrazione.