Dal Forum Economico di Davos il presidente ucraino Petro Poroshenko ha ribadito in sostanza il concetto che da sola l’Ucraina non ce la può fare. Il baratro è dietro l’angolo, soprattutto sino a che la guerra nel Donbass continuerà. E pochi si fanno illusioni che la questione sia da risolvere nel breve periodo. La situazione nel sud-est segnerà quella nel resto del Paese, comunque, per il prossimo decennio, ammesso e non concesso che nel 2015 venga messo il coperchio definitivo alla pentola che bolle.
Non per nulla Poroshenko ha proposto al Fondo monetario internazionale di cambiare approccio con Kiev e sostituire l’attuale programma di aiuti – 17 miliardi di dollari spalmati su due anni – con uno a più ampio respiro che dia tempo all’Ucraina per gestire le questioni interne e dare il via alle riforme strutturali promesse e non ancora attuate. Da Washington non sono state prese certo decisioni, tantomeno sono state fatte cifre, e al momento una missione del Fondo è nella capitale ucraina per capire come stanno andando le cose, in attesa di concedere la prossima tranche del prestito, attualmente ancora bloccata.
Non è una novità che gli aiuti occidentali vengano sospesi: era già successo nel 2009 ai tempi del due arancione Victor Yushchenko e Yulia Tymoshenko e poi nel 2012 con Victor Yanukovich. In entrambi i casi Kiev era stata accusata di non procedere secondo gli accordi e di sperperare miliardi, finiti nelle tasche dei soliti noti: allora non c’era la guerra, oggi va naturalmente peggio. Appunto per questo Christine Lagarde dovrà decidere se continuare il gioco sul tavolo della geopolitica o guardare solo agli aspetti economici. Entro fine mese dovrebbe essere comunque sbloccati i prossimi miliardi, per evitare il tracollo. Poi si vedrà.
I problemi a Kiev derivano ora sia dal conflitto nel Donbass che dal fatto che nella capitale non tutto va liscio come l’olio: tra il presidente e il primo ministro Arseni Yatseniuk come prevedibile non sono tutte rose e fiori e le priorità sembrano diverse. All’interno del governo i primi screzi tra Blocco Poroshenko e Fronte Popolare (il partito fondato prima del voto dal premier) sono già visibili e tra le pressioni degli oligarchi (Igor Kolomoisky) e l’eterogeneità della compagine governativa tutto fa pensare che al di là della propaganda e degli accordi messi nero su bianco alla vigilia della formazione del governo, il tandem alla guida del Paese sia già logorato, tanto che il quotidiano Ukrainskaya Pravda si è chiesto se tra Poroshenko e Yatseniuk sia scoppiata la guerra. Al centro della discussione le questione energetiche, il rapporto con la Russia, il ruolo di Kolomoisky.
Il Paese rischia insomma l’implosione e a un quasi un anno dalla rivoluzione che ha spodestato Victor Yanukovich il bilancio non può che essere disastroso. Il cambio di regime rivoluzionario supportato da Unione Europea e Stati Uniti ha innescato una spirale devastante sia interna che nelle relazioni tra Russia e Occidente che si ritorce in primo luogo sugli oltre quaranta milioni di ucraini che rischiano di vedere l’Ucraina diventare un failed state.