È cominciato il countdown per l’Expo e a cento giorni dal maxi evento in cui si gioca la sorte dell’Italia, arrivano i primi annunci. È pronto il calendario di tutte le mostre pubbliche (in tutto 26) milanesi del 2015 ma sembra una barzelletta: un palinsesto che percorre la storia dell’arte da Giotto a Leonardo fino massimo al Perugino e praticamente tutto concentrato a Palazzo Reale.
Insomma non ci vuole molto a capire che anche nell’arte si punta ormai tutto sul privato ma non si può certo contare sul nazionalismo di gallerie e fondazioni. Dell’Expo tutti pensano a guadagnarci qualcosa, tanto dell’identità italiana se ne occupa Trione con il padiglione Italia a Venezia.
Basterà a rialzare il valore delle opere italiane sul mercato?
A dicembre la Fondazione Trussardi aveva già anticipato la mostra di Massimiliano Gioni sulla “Grande Madre” come archetipo della nutrizione (tema dell’Expo 2015) e ieri, qualche ora prima dell’inizio di ArteFiera a Bologna, è arrivato il programma della Fondazione Prada che inaugurerà il nuovo spazio nell’ex-distilleria di Porta Romana.
Sorpresa: anche la Fondazione Prada parte con una mostra d’arte antica. Almeno possiamo essere certi che vi sarà tanta arte italiana. Ma come mai i privati non puntano sull’arte contemporanea?
È semplice: l’arte antica è l’unico bene di valore rimasto in Italia, la merce più sicura. Musei pubblici e privati sono quindi impegnati sullo stesso fronte con un unico obiettivo: il guadagno. Non sorprendetevi quindi se vedrete arte antica a tutto tondo durante l’Expo, è tutto regolare.
Una spiegazione è da cercare anche in politica: in 50 anni l’Italia non è stata in grado di effettuare la transizione economica e si ritrova oggi senza mezzi sufficienti per far fruttare la propria ricchezza. Così, dopo le agevolazioni e gli sblocchi della riforma Franceschini, il compito di vendere il patrimonio italiano passa ai privati. Era ora.
Il problema è che aprendo ai privati nell’urgenza, il governo non ha dato una direttiva politica alla riforma culturale. Aprendosi alle politiche manageriali, nemmeno i musei pubblici hanno più lo scopo di investire sulla ricerca e sull’innovazione italiana. Per dirigere i nostri musei, importiamo manager dall’estero pagati fior di quattrini senza obblighi culturali, lasciati liberi (in nome del guadagno) di prediligere culture dominanti piuttosto che quella italiana.
Ma qual è in teoria la differenza tra musei pubblici e musei privati se non l’interesse nazionale? Senza una legge che regoli la competitività culturale (non solo commerciale), chi valorizzerà l’arte italiana nel mondo? A chi tocca il ruolo di promotore della cultura italiana? Nessuno.E indovinate a chi profitta questa auto-svalutazione dell’arte italiana?
L’unica cosa certa è che il patrimonio italiano è pieno di arte antica (spesso nemmeno recensita né valutata) su cui commerciare, come molti bellissimi paesi del mondo impoveriti dai conflitti e dalla crisi. Sono le aree del mondo in cui non a caso spuntano come funghi biennali e fiere.
L’aspetto moderno e internazionale del fenomeno biennali non basta però a nascondere che, come in Italia, in tanti paesi è scattata la messa all’asta dei beni nazionali per tentare di sopravvivere alla globalizzazione.
Ovunque spuntino queste fiere dunque, siate sicuri che non si tratta di promozione locale dell’arte contemporanea bensì di rinuncia alla propria storia: mentre apparentemente espongono artisti internazionali, svendono lembi interi di civiltà senza poter reinvestire sul rinnovamento della cultura locale.
Ugualmente i proventi della mostra di Prada non torneranno allo Stato italiano. Anzi è molto probabile che con i soldi guadagnati dalla mostra, la Fondazione Prada investa (giustamente) su un’arte sicura, sull’arte che vale di più sul mercato, cioè sull’arte americana.
Secondo la logica di mercato, investire sull’arte contemporanea italiana ora sarebbe controproducente, anzi probabilmente un suicidio. Perfino il più esemplare dei mecenati si ritroverebbe in un’impasse.
Tranquilli, a liberalizzazione effettuata, le distinzioni culturali tra l’Italia e l’America non esisteranno più. E dopo l’Expo non servirà nemmeno più emigrare per sentirsi all’estero.
(di Raja Elfani)