Esattamente 4 anni fa, il 17 febbraio 2011, la primavera araba contagiava la Libia. Stava per andare in onda la tormentata fine del regime di Gheddafi.
Qualcuno tra voi ricorderà Alitweel, esperto di informatica allora poco più che trentenne. Connessione precaria ed instabile, ci raccontava la rivoluzione twittando dalla sua Tripoli infiammata.
Barricato in casa all’ombra della paura, giorno dopo giorno il digitare sulla tastiera lo portava lontano. Citando Martin Luther King immaginava:“sogno un Paese in cui un giorno io possa camminare a Maidan El-Shuhada ed esprimere me stesso senza paura. I have a dream, i have a dream”. Eppure, pensava, presto o tardi qualcuno sarebbe passato a prenderlo:
<<Dear followers i don’t deny that i’m afraid that one of the regime agents might look for me, and this could lead to dark places, but… i dont think i’m better than my brothers who died by machineguns, so i will take my chances and fight here until reporters take over. Since facebook and twitter are blocked in Libya i will try to use my IT experience and fight virtually with my brothers and spread the word>>
Riuscì a salvarsi. Abbandonò per un certo periodo l’account twitter con il suo nome riuscendo a registrarne un altro; in molti-me compresa-temettero il peggio. Morto Gheddafi, Alitweel tornò in rete con la sua identità. Da allora non ha mai smesso di raccontare. È ancora lì, in Libia, nella sua Tripoli. Il suo sogno? Rimasto sospeso a mezz’aria.
<<Avevo sognato un Paese in cui nessuno era al di sopra della legge, ma mi sbagliavo, non era possibile. Abbiamo vissuto 42 anni sotto Gheddafi, nel corso dei quali non si poteva prendere nemmeno il diploma senza una raccomandazione. Abbiamo avuto una generazione di gente che credeva che il potere spettasse di diritto. Ho capito tardi che il problema non era solo Gheddafi. La mentalità che ci ha lasciato, piuttosto. La cultura che è stata promossa nel corso dei 42 anni del suo regime. Il problema è il Gheddafi dentro ciascuno di noi. (….) Quando i libici avevano un nemico erano tutti uniti contro di lui, ma dopo che Gheddafi è morto hanno cominciato a uccidersi a vicenda. Ora che paiono avere di nuovo un nemico comune torneranno ancora uniti? Io non so cosa pensare. Ho compreso solo questo: non conosco abbastanza bene la mia gente. Se nel 2011 avessi inteso quanto ho capito dopo forse avrei esitato a dire anche una sola parola su twitter…>>
Me lo ha spiegato quasi tre settimane fa. Tornatomi in mente all’improvviso lo avevo cercato sui social, facendogli alcune domande. Prontamente mi aveva risposto con una lunga lettera. Anche se in formato ridotto, credo che sia il caso di lasciarvela leggere.
Oggi è giovedì. Ho appena accompagnato mia moglie, mio figlio Shehab e la mia piccola Sadeem, a casa degli zii, così si divertono un po’. Io sono tornato nel nostro appartamento per controllare se fosse tornata l’energia elettrica. Resto qui. Da tanti mesi ho poca voglia di uscire, ad essere sincero. Avevo intenzione di guardare un film o di giocare un po’ al PC-la casa adesso è tranquilla-poi ho aperto facebook ed ho trovato il tuo messaggio. Così eccomi qui…
Mi chiedi come sto: direi bene, in generale. Ho i miei alti e bassi, ma non posso lamentarmi per quello che Allah ha previsto per me, faccio del mio meglio per pianificare il futuro, lascio che sia Lui a fare il resto.
Durante i primi giorni della rivoluzione libica ero da solo a twittare ogni ora quanto accadeva intorno a me. Poi acuni dei miei amici si erano uniti ed avevano cominciato anche loro. Tu ne conoscevi 3: Io (AliTweel &TrablesVoice), Akram Elsaadawi (flyingberdies) e Mustafa Abukhit (Abukhit), ma ci sono stati anche altri che twittavano in arabo. Uno loro è stato catturato in agosto 2011 e poi ucciso. Si chiamava Jadassary.…
Dopo il 3 marzo non volevo twittare o accedere al mio account e quindi richiamare l’attenzione, perché in quel periodo alcuni giornali scrivevano articoli su di me e pubblicavano le mie foto e video associati al nome Alitweel, che è il mio vero nome. Sono riuscito a cambiarlo solo uno o due giorni prima del taglio delle rete in Trables, che poi è il modo in cui pronunciamo Tripoli.
Durante i primi giorni della rivoluzione cercavo di catturare chi aveva accesso alla radio VHF o a quella satellitare dei telefoni. Dopo il taglio di internet non volevo essere sotto i riflettori, ma sono riuscito a usare il collegamento “Broadband Global Area Network” (BGAN), per inviare di volta in volta un documento *pdf per i miei amici fuori dalla Libia. Qualcosa che potesse essere loro utile: un elenco di nomi e posizione dei membri del regime e dei loro piani per il controllo di Tripoli, ad esempio.
Sono stato a casa quasi tutto il tempo, in attesa di qualcuno mi venisse a rapire da un momento all’altro, ma non è successo. Mi sono trovato sotto stress. Sai, nel 2012 mi sono stati diagnosticati problemi di diabete che non avevo mai avuto prima. Il medico dice che siano stati causati dal fatto di aver vissuto con la paura per mesi. Ho passato cinque giorni sulla strada per riuscire a far il pieno di carburante alla mia macchina a fine maggio. Mi svegliavo alle 05:00 e andavo dal panettiere per stare poi in fila per ore per riscire a prendere il pane. Ho comprato una bicicletta e l’ho usata per andare in giro per la città a cercare pannolini e alimenti per l’infanzia, per il mio bambino, sotto il sole estivo. E poi ho praticato tutte le attività che ogni cittadino a Tripoli ha fatto durante la rivoluzione. Ho pensato di raggiungere le ultime forze armate in montagna, ma i miei amici mi hanno incoraggiato a rimanere e usare la mia conoscenza ITC per aiutare con i satellitari e i pinning della posizione su Google Earth e poi contattare il mio amico Helmi Tatanaki (HelmiTatanaki) in Tunisia, con un telefono che non era monitorato da nessuno…
Quando ho sentito la notizia che Gheddafi era stato ucciso non ci credevo. Sospettavo fosse una delle solite mosse teatrali del regime per attirare l’attenzione da una parte mentre fanno qualcos’altro da un’altra. Poi, quando mi sono reso conto che era davvero così, ero contento. Confuso, però, perché l’aria non aveva un odore diverso. Mio padre-che riposi in pace-era un uomo saggio. Morì nel luglio 2013. Aveva perso la sua ricchezza quando Gheddafi aveva deciso di impossessarsene insieme ad altri nel 1978, l’anno in cui sono nato. Mio padre mi aveva detto che avrei potuto sentirmi davvero felice solo quando avessi visto il reale trionfo della giustizia e le persone ottenere nuovamente i propri diritti. Io ero d’accordo con lui, perché il giorno che Gheddafi è morto, non mi sentivo “davvero” felice, perché sapevo che c’era ancora tanto da fare. Avevo sognato un Paese in cui nessuno era al di sopra della legge, ma mi sbagliavo, non era possibile. Abbiamo vissuto 42 anni sotto Gheddafi, nel corso dei quali son si poteva prendere nemmeno il diploma se si aveva una raccomandazione. Abbiamo avuto una generazione piena di gente che crede che il potere gli spetti di diritto. Ho capito tardi che il problema non era solo Gheddafi, ma la mentalità che ci ha lasciato; è la cultura che è stata promossa nel corso dei 42 anni del suo regime. È il Gheddafi dentro tutti noi. Ultimamente stavo pensando di lasciare la Libia e di iniziare una vita lontano da qualche altra parte, ma non sono abbastanza coraggioso da mettere in pericolo la mia vita e la vita della mia famiglia, senza un contratto di lavoro adeguato. Questo progetto sembra un gioco d’azzardo. Sono ancora a Tripoli. Mai abbandonata se non per ragioni mediche! Nel frattempo lavoro come IT Manager in un’azienda Oil & Energy spagnola, lottando per assolvere ai miei doveri quotidiani, mentre molti libici ci mettono i bastoni tra le ruote e rovinano le cose ogni giorno. Per quanto riguarda Akram e Mustafa, entrambi stanno come me. Mi ripeto: il nostro sogno ora è quello di abbandonare il Paese e iniziare una vita da qualche altra parte, ma è difficile da realizzare>>