Quando per la prima volta in vita mia ho incontrato la musica minimalista, sono rimasto folgorato. È stato amore al primo ascolto. Erano gli anni del conservatorio. A quel tempo mi nutrivo quasi esclusivamente di musica dissonante: i compositori della Seconda scuola di Vienna, quelli dei corsi di Nuova Musica di Darmstadt, la musica sperimentale, il serialismo ecc. (una palla potreste pensare, ma studiavo composizione…). Finché un giorno il mio maestro portò a lezione il disco di Terry Riley In C (sì, lo so, è una figata andare a scuola e studiare ascoltando i dischi) e quando il brano è iniziato, con quelle sequenze ritmiche tribali, le linee melodiche così chiare, tutto è apparso più sensato. Improvvisamente ho pensato che non c’era più tutto quel bisogno di usare linguaggi complessi per dire qualcosa di nuovo perché la semplicità era una chiave espressiva molto più efficace. Da quel momento in poi, la musica minimalista mi ha accompagnato nella vita. Ne ho ascoltati molti di dischi minimalisti, di vari autori, e tutto ha sempre continuato a funzionare e ad emozionarmi allo stesso modo, con la stessa intensità. In questi giorni è uscita una nuova registrazione di In C di Riley ma, a differenza di tutte le interpretazioni che ho sentito, questa è straordinaria. È eseguita da un gruppo di musicisti del Mali, gli Africa Express, che hanno utilizzato gli strumenti, le percussioni e le voci della loro cultura. Il risultato è notevole! Non poteva essere altrimenti: una musica che pone le sue radici nella cultura tribale (Riley si rifaceva al Gamelan di Bali e ai Raga indiani) qui esplode in tutta la sua bellezza. Per ovvi motivi di tempo, dato che il brano dura 40 minuti, ho dovuto inserirne solo una piccola parte, ma in rete si trova facilmente il video dell’esecuzione completa.
Le altre tracce sono quasi tutte novità di questi giorni: c’è José Gonzàlez, che torna a pubblica a proprio nome dopo otto anni; il produttore Emile Haynie, al suo esordio discografico; gli Alcoa, il side project di Derek Archambaut dei Defeaters. C’è lo sconosciuto – per me finora – Santiparro, che mi ha incuriosito per via del duetto con Will Oldham, un’altra mia passione. E poi: la prima di una serie di registrazioni “domestiche” di Samuel Bean a.k.a. Iron and Wine; una scoperta recente (ma il disco è datato 2013) che mi ha affascinato per i suoni molto “folk americano” (Dylan docet) è una band che, come dice il nome stesso – Threelakes – viene da Mantova. L’esordio più pubblicizzato degli ultimi anni, invece, è quello delle gemelle Ibeyi. E non potevano mancare un po’ di musiche meno consuete come quelle dei Vaudou Game del Togo e delle svedesi Midaircondo. Buon Ascolto!
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