Gli Stati Uniti potrebbero sostenere l’Ucraina fornendo armi alle truppe regolari che combattono nel Donbass. Lo scrive il New York Times, secondo cui il Segretario di Stato John Kerry e il comandante in capo dell’esercito Martin Dempsey avrebbero avanzato l’idea e lo stesso Barack Obama, sinora contrario a quest’opzione, sarebbe ora intenzionato a intervenire. Kiev potrebbe contare su armi di difesa, droni e razzi anti carro per un valore di 3 miliardi di dollari.
La notizia non è proprio una sorpresa, visto come Washington si è ingaggiata a fianco del partito della guerra capeggiato dal premier Arseni Yatseniuk, che negli ultimi mesi ha insistito per ricevere aiuti militari diretti e starebbe adesso per ottenerli. Sino a oggi il supporto militare e di intelligence a stelle e strisce è stato sottotraccia, ma ora sembra che la casa Bianca abbia deciso di giocare a carte scoperte. Se dunque da un lato i separatisti filorussi possono contare sul sostegno del Cremlino, Kiev anche sul campo godrà di quello americano.
Cosa questo possa significare per gli sviluppi nel sudest ucraino è facile da immaginare: nonostante a Kiev il presidente Petro Poroshenko abbia più volte ammesso che una soluzione militare della crisi sia di fatto impossibile, i falchi governativi paiono in vantaggio. Sull’altro versante è improbabile che Vladimir Putin, incurante delle sanzioni occidentali, si lasci intimidire da quella proxy war che rischia ora far collassare del tutto l’Ucraina.
Al di là di quello che si deciderà davvero a Washington in merito agli aiuti militari, è evidente che l’escalation in vista non potrà che produrre un’ulteriore lacerazione del Paese. Nonostante gli appelli di Germania e Francia per la ripresa delle trattative e l’implementazione degli accordi di Minsk non sembra che tra Russia e Stati Uniti ci sia lo spazio per la mediazione. E nella guerra per procura che si gioca nell’ex repubblica sovietica l’Unione Europea si è schierata da principio con gli Usa, fautori di quella rivoluzione che ha deposto Victor Yanukovich e scatenato la reazione russa.
Appiattita sulle posizioni americane, Bruxelles ha adottato due pesi e due misure nelle relazioni con Mosca da una parte e Kiev dall’altra. Nella guerra che ha fatto finora oltre 5000 morti – non certo da addebitare tutti ai separatisti, che tra marzo e aprile dello scorso del 2013 hanno preso in mano il Donbass tra l’indifferenza e la complicità delle istituzioni civili e militari nonché della popolazione – la distribuzione europea delle responsabilità è a dir poco manichea. Le sanzioni contro la Russia si sono rivelate uno strumento sbagliato e inutile, e hanno sortito gli effetti contrari a quelli voluti.
La soluzione della crisi ucraina e per salvare l’Ucraina non sta nel soffiare sul fuoco, ma ancora al tavolo delle trattative, con un concreto piano (federalizzazione, neutralità) su cui si devono accordare Cremlino e Casa Bianca, a settant’anni dalla conferenza di Yalta.