L’agente MormoraI destini non si manomettono

Li vedete quei pescherecci abbandonati? Lo sentite questo vento di sabbia arsa? Un tempo, il lago Urul era fatto di acqua. Da per sempre. Un pozzo largo che regalava vita e voglia alle famiglie di ...

Li vedete quei pescherecci abbandonati? Lo sentite questo vento di sabbia arsa? Un tempo, il lago Urul era fatto di acqua. Da per sempre. Un pozzo largo che regalava vita e voglia alle famiglie di pescatori che ci vivevano attorno. Vivevano non sul lago, ma del lago. Negli ultimi quarant’anni, il lago è inesorabilmente diventato salato. Poi ha cambiato identità: prima fanghiglia, infine sabbia dispersa. Per attraversarlo bastava una jeep. Il clima è mutato sotto gli occhi dei pescatori. L’impotenza aveva il gusto del sale. Il singhiozzo delle docce inutilizzabili, il rumore delle autoclavi che pescavano dalle cisterne. Come pensate possa sopravvivere da quel momento in avanti un manipolo di persone che per tutta la vita ha avuto a che fare solo con reti e ami? A un certo punto neppure la pioggia è più caduta, l’estate divenne incredibilmente torrida e l’inverno intollerabilmente freddo. I pescatori continuarono a svegliarsi al mattino, aprire la finestra e vedere la baia sempre più lontana dalle proprie abitazioni. Il lago stava inghiottendo il lago. Le barche capovolte erano un cenotafio, monumentale souvenir di un’esistenza essiccata. Potevi correre sul pontile ma poi ti toccava fermarti. Il pontile di colpo non portava più da nessuna parte. Un tuffo al cuore. Gli animali che erano abituati a mangiare erba cominciarono a restare digiuni. Morirono le carpe, scomparvero i cammelli. I pesticidi usati dai sovietici per potenziare le coltivazioni di cotone, molti chilometri più a nord, si erano rivelati una bomba ecologica. Il corso di due fiumi era stato alterato per portare l’acqua nei campi di cotone voluti dal Governo dei miopi. L’Urul era rimasto a secco.

Ma i pescatori non avevano mai perso la speranza. Neppure per un momento. Di notte sognavano il lago, si svegliavano e sognavano il lago. Ci sono voluti pazienza e un impegno sovrumano per riportare il lago nel lago. Sono serviti acqua fresca e una diga per restaurare lo stato delle cose. I pescatori hanno smesso di dormire, a un certo punto, anche perché la dolcezza del sogno, in un mondo fatto di sale, serve a poco. Con una diga i pescatori sono stati in grado di riportare l’acqua nel deserto. Ci sono argini che difendono la vita, e la voglia. Ai bambini oggi si racconta che un giorno l’acqua sarà sempre più vicina, e ci si potrà anche fare i tuffi. Oggi – sopratutto – ci si adopera perché accada davvero che torni l’Urul a riempire un cratere. Ironia della sorte: il lago lentamente sta tornando, e ha la forma di un pupazzo di neve, con un corpo ciccione e una testa piccola. Da grandi, i bambini vogliono fare gli ingegneri. Non gli astronauti: perché hanno già visitato Marte, su Marte – rossa di terra arsa – ci sono nati. E non vogliono viverci. Vogliono abitare la Terra, e per abitare la Terra è indispensabile riaprire un lago. I pescatori, che erano fuggiti in cerca di lavoro altrove, rientrano nelle piccole comunità. Se il lago ritorna, ritorna anche il sentimento di essere popolo. Se torna l’acqua, torna la storia. Il progetto è chiaro, più la diga si allarga, più il lago cresce. Diciassette anni, si stima: nella vita del Pianeta diciassette anni valgono meno di diciassette ore. Puoi restare a guardare, oppure puoi inforcare una pala, rettificare il filo a piombo e metterti a costruire. Non è stata la sorte ad essere ironica, sono state le braccia.

Attorno alle carcasse delle barche, sta risorgendo una comunità. Un uomo di mare non può restare senza mestiere per troppo tempo. A chi gli chiedeva conto della deriva, questi rispondeva: «Se ti sforzi a guardare forte, il mare mentre torna lo vedi». Anni prima, le autorità avevano immaginato di sacrificare una terra, dunque un popolo che ci viveva sopra. Avevano immaginato di poter pianificare un deserto. Un disastro. Un’ecatombe impressa sulla carta intestata del Ministero del Progresso Economico. Avevano immaginato di spegnere un lago, di trasferire una comunità in un posto lontano. («Deportare» è la parola giusta, ma si sa: la menzogna ha il suono dei maquillage innocui). Avrebbero cambiato mestiere i pescatori, sarebbero diventati contadini di cotone. Ci sono mestieri in cui non serve avere la schiena dritta. Anzi, più ti pieghi meglio è. Le catastrofi non avvengono per conto loro. C’è sempre un pazzo che cambia il corso di un fiume, e un innocente che resta a guardare. I pescatori, le loro mogli e le loro reti hanno resistito, invece. Sono diventati muratori e non contadini, hanno imbracciato un arnese e hanno allargato la diga. Si sono incatenati al loro destino. La nostalgia è lavoro, ché se la distilli si scioglie in sudore e ci puoi persino riempire un lago. Serviva un miracolo agli abitanti dell’Urul e invece hanno costruito una diga. Peccato che questa storia potente ai più non dica nulla. A qualcuno – viceversa – apre i rubinetti nel cuore, fa zampillare la ferocia allegra di chi viveva del lago, non sul lago.

Contro una scelta tossica, occorre costruire dighe di consapevolezza, virtù e sete. Un uomo di mare non cambia mestiere.

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