La visita del pontefice al maggiore campo di sterminio costruito durante l’occupazione della Jugoslavia permetterebbe un ulteriore miglioramento delle relazioni tra Ortodossi e Cattolici. Ma per il momento essa pare piuttosto improbabile.
Qualcosa si muove nelle relazioni tra la Chiesa ortodossa serba (Srpska Pravoslavna Crkva) e la Santa sede, dopo che per anni il riavvicinamento tra Ortodossi e Cattolici è rimasto congelato. Il portale regionale ‘Radio Slobodna Evropa’ parla delle recenti visite dell’arcivescovo Dominique Mamberti lo scorso anno e del cardinale Kurt Koch, incaricato di promuovere la distensione dei rapporti reciproci tra le due confessioni e chiese nella regione. Un rapporto che, come sottolineato dalla SPC, è ancora “estremamente condizionato dalle vicende legate alla seconda guerra mondiale”.
Il periodo della seconda guerra mondiale è ancora estremamente divisivo nei territori dell’ex Jugoslavia, soprattutto, per quanto riguarda i rapporti tra Zagabria e Belgrado. Principalmente a causa della politica dello Stato indipendente di Croazia, retto dagli Ustascia di Ante Pavelić e collaborazionista con i nazisti.
Già da qualche anno si ventila la possibilità che il Papa possa visitare la Serbia, per costruire una nuova pagina nel dialogo tra Roma e Belgrado, un’eventualità che, secondo Ivica Maštruko, ex ambasciatore croato in Vaticano, “permetterebbe tra le altre cose di porre le basi per un miglioramento nei rapporti con il patriarca moscovita”. Per ora, comunque, nulla è stato annunciato in questo senso (mentre è già stato reso noto che, il 6 giugno prossimo, il pontefice sarà a Sarajevo).
Sempre secondo Maštruko, comunque, una tale visita è “impossibile”, quanto meno nel breve periodo. A frenare sarebbe soprattutto l’ostilità dei due cleri nazionali, che ebbero un importante ruolo nel rinfocolare il nazionalismo anche nel corso delle guerre degli anni novanta. Da questo punto di vista, fa discutere la proposta della Chiesa ortodossa serba, che chiederebbe al pontefice di rendersi in visita a Jasenovac prima di effettuare un qualsiasi viaggio in Serbia.
Jasenovac fu il maggiore campo di concentramento in ex Jugoslavia, creato da Zagabria per sterminare gli oppositori politici, ma anche migliaia di Serbi, di Ebrei e di zingari. Le stime sul numero delle vittime variano enormemente (tra le 100.000 e le 700.000), mentre quelle identificate per ora sono circa ottantamila. Secondo Zivica Tucić, un esperto degli affari religiosi di Belgrado, citato anche da RSE, è molto difficile – comunque – che Bergoglio riesca a rendersi a Jasenovac. “La chiesa croata cattolica ha sempre minimizzato ciò che è avvenuto nel campo, per cui sicuramente ci sarebbe da parte loro il tentativo di scoraggiare una decisione del papa in questo senso”. Opinione condivisa da Maštruko, che sottolinea: “per la Chiesa cattolica, le cifre sulle vittime di Jasenovac sono il frutto di una manipolazione da parte del governo comunista. Alle commemorazioni, che si tengono ogni anno, hanno sempre partecipato al massimo dei membri del clero di rango inferiore”.
Non aiutano, del resto, nemmeno le recenti decisioni della chiesa cattolica, che dovrebbe pronunciarsi nel 2015 in favore della canonizzazione del cardinale Stepinac, tacciato di collaborazionismo con gli Ustascia. Né, d’altra parte, le pulsioni revisioniste dell’opinione pubblica serba, dove da anni è in atto il tentativo di riabilitare la memoria di Draža Mihailović e del movimento nazionalista cetnico.