Il DecamerinoViaggio malato tra padre e figlia

  Il Decamerino qui si cimenta, fuor dell'usanza, anziché nell'elzeviro politico, nel racconto breve a fotografare la crisi di rapporto tra padre e figlia, in questo caso, appartenenti ad un deter...

Il Decamerino qui si cimenta, fuor dell’usanza, anziché nell’elzeviro politico, nel racconto breve a fotografare la crisi di rapporto tra padre e figlia, in questo caso, appartenenti ad un determinato ceto sociale

VIAGGIO MALATO TRA PADRE E FIGLIA

Si rivide camminare svogliata per quella via del centro e guardare nelle vetrine per incrociare la propria immagine riflessa. Si scostava una chioma con un gesto stanco della mano aperta e pensava contrariata al viaggio che era costretta a fare con il padre. – Mi tocca andare laggiù, chissà per quanto! – Considerava oppressa – mentre Olga e Lisa sono già al mare, sdraiate sotto il sole – Guardò un vecchio frugare in un cassonetto per i rifiuti e lo vide tirar fuori, insieme al resto un giornaletto intatto che rimirava incerto.

Ad Antonia parve un gesto caratteristico ed accettò una pigra emozione: volle cavarne un significato, si annoiò. 

-Come sei fuori di me!- concluse, mentre dal buio di una vetrina le tornava incontro il chiaro del proprio vestito. L’assalto era imbevuto di caldo e si opponeva morbido ai tacchi dei sandali. Gli sguardi di Antonia sfioravano spesso quelli intenti degli uomini: vi cercava un’ennesima conferma. 

– In fondo, piacere è una cosa importante – pensava – aiuta ad essere ascoltati, a far sì che la gente si apra di più, che resti indifesa –

Si divertiva, a volte, a sostenere a lungo qualche sguardo; lo vedeva caricarsi, brillare invitante, timido o aggressivo, meschino o sicuro, innocuo o insinuante.

Qualcuno la turbava, la coglieva disarmata; se ne sentiva sconvolta come in un affanno che l’assaliva incontrollabile e, appena l’aveva incrociato, se lo sentiva fisso nella schiena, scorrerla per tutto il corpo sino alle gambe, come un brivido. Si sarebbe messa a correre! Camminava e le pareva di star sbilanciata sui tacchi quasi traballasse. Ne rimaneva stizzita, esausta. – In fondo sarebbe un bel viaggio – aveva spiegato ad un’amica – ma con lui … conosco i suoi progetti: di colpo decide che deve diventarmi più amico, starmi più vicino. Vuole organizzare, da oggi a domani, un dialogo più confidenziale con sua figlia e coronare il tutto con la presentazione ufficiale ai parenti di laggiù – argomentava concitata la sua stizza all’amica, ponendo il problema dell’impossibilità di rapporto con il padre, problema che, di fatto, per lei esisteva relativamente, se non nel fastidio di dirgli Buongiorno o Ciao, di giustificarsi per qualche ritardo. – Mio padre crede – diceva Antonia – che non solo non abbia mai baciato un uomo, ma se, alla televisione, c’è una scena, per lui “un po’ scabra” gli vedo scottare il sedere: mi coprirebbe gli occhi – Il padre aveva creato il silenzio; la vedeva crescere e rimandava il problema perché per lui il problema era specifico e da risolvere d’un sol colpo.

A volte doveva quasi confessarsi che lo infastidiva vederla lì crescere autonoma, quasi per ricordargli il compito educativo: lei si vestiva, andava dal parrucchiere, aveva un aspetto suo, parlava, frequentava ambienti non solo scolastici, fuoriusciva dalla sua zona di controllo e di egemonia.

Allora professava un vittimismo scontroso, si irrigidiva in certi schemi affettivi come il bacio di saluto che venivano osservati sempre meno. Oppure dava ordini, sicuro che non sarebbero stati rispettati, per poterla sorprendere, rimproverare aspramente, minacciarla – un uomo ha il diritto di essere obbedito, amato dai figli, cui non fa mancare nulla – proclamava. 

Diceva inoltre ad Antonia ciò che una figlia dovesse essere e che cosa intendeva lui per affetto. Antonia, una volta, si commuoveva a sentir parlare suo padre, quel grosso uomo da cui riceveva, sin dall’infanzia, i baci nel ruvido della barba pur rasata; ora la urtava, lo evitava. Infatti, quando la baciava, avrebbe voluto sottrarsi, scappare, ma invece subiva esausta quasi con furore. Le loro parole, anche durante le liti, non facevano mai luce su quel rapporto, che lievitava, cresceva in un fermento torbido ed inquinato. Era lì tra loro impalpabile, era il ricettacolo delle loro bugie, dei loro silenzi, carichi di disagio cocente; si estendeva contorto, malato nell’atmosfera della grande casa tra gli oggetti costosi ed invadendo dell’arredamento. Li dominava ormai più forte di loro, individualmente, si ricreava sempre uguale senza possibilità di soluzione: c’erano dentro e lo vivevano; esso era loro stessi. 

– Ed ora venti giorni tutti con lui – continuava Antonia all’amica – mi sento impazzire! La sento la sua affettuosità fittizia, che non aspetta altro di non essere corrisposta per giustificare il vecchio rancore, per sentirsi dalla parte della ragione. A fingere, per non dargli soddisfazione, non ce la faccio! – 

L’auto lucente filava veloce lungo la linea azzurra del mare che turbava Antonia come una vertigine. Se ne stava accovacciata con il braccio ripiegato fuori dal finestrino: voleva perdersi in quel senso di nausea dolce che le dava l’estate calda incombente sull’auto in corsa.

Ma il padre fischiava stonato nella sua verde giacca da turismo ed Antonia ne spiava le mani sul volante, inguainate di daino traforato. 

– Perché fischia? Perché?  – meditava cupamente – non capisce che non c’è bisogno di riempire questo silenzio –

Il fischio insisteva querulo e disarmonico. Antonia se ne sentiva assalita, offesa, umiliata. Si costringeva, per interromperlo, ad un commento ironico, pacato, senza impegno, quasi cordiale, ma il padre pareva non capire ed improvvisava motivetti assurdi, volgari nella loro gretta involuzione musicale. 

– Perché sa che sono costretta ad ascoltarlo! Perciò fischia: se ne sente in pieno diritto! – pensava Antonia – sa che non potrei mai insultarlo per questo, come sarebbe giusto; venti giorni così, forse un mese! – 

Voleva essere impenetrabile, inavvicinabile, ma spesso scivolava in qualche discorso e si trovava allo scoperto impegnata; cercava allora di riprendere un contegno, ma lui era già lì a darle consigli; ormai aveva porto il fianco ed allora la voce paterna l’invadeva con quel tono bonario, insinuante che le fumava in testa, la immobilizzava stizzita ed impotente. 

– Mi porta nei migliori alberghi – si diceva – mi fa mangiare quel che voglio, anzi, più il piatto è costoso e più è contento. Poi mi dice che un sacco di ragazze vorrebbero essere al posto mio. Ma chi li vuole i pranzi costosi, i migliori alberghi, chi te li chiede, chi ne ha bisogno? -. A stento si confessava però che in effetti di tutto questo non avrebbe fatto a meno, non avrebbe potuto. 

Il padre ostentava, davanti ai camerieri, particolari attenzioni per i gusti della figlia e lei doveva subire da loro uno zelo professionale sproporzionato e lo subiva, divorata dal disagio, in un succedersi di atteggiamenti forzati, alla ricerca del più naturale.

Il rollio della macchina, il caldo, l’aria che dal finestrino abbassato le portava gli odori rapidi, saturi, pesanti della terra d’estate riempivano Antonia d’un formicolio che le scorreva dai piedi alle gambe ed oltre.

Sentiva il bisogno di stirarsi, di allungarsi, di divaricare le gambe inguainate dai pantaloni. Antonia, sull’auto lungo il mare cercava di dimenticare d’essere vicino al padre, non tollerava l’idea di sentirsi così, con lui seduto appresso. Si stendeva tutta sul sedile, con la testa rovesciata indietro e le mani, incrociate in grembo, seguivano i lievi sussulti regolari dell’auto in corsa.

Pensava con fastidio allo squallore di quella situazione e le piaceva tradurla mentalmente in termini quasi emblematici – un padre che cerca l’affetto della figlia di cui finge di non voler conoscere i sentimenti, che in effetti crede già di conoscere; la figlia lì seduta vicino a lui con le 

mani in grembo, carica di umori, desiderosa di ben altro –

Quel giorno scesero all’albergo che era già buio e Antonia sentì sguardi scuri, lucidi, osservarla mentre scendeva dall’auto. Vide un giovane guardarla serio, intento, gli ricambiò lo sguardo con trasporto, quasi a confermargli qualcosa.

Entrò con il padre nell’atrio dell’albergo e furono accompagnati nella vasta camera a due letti. Il padre infatti voleva che dormisse con lui: non si sentiva tranquillo a saperla in un’altra stanza, in un luogo sconosciuto.

Anche per questo, Antonia, provò per lui un gelido rancore mentre lo sentiva spogliarsi e lavarsi nel bagno e poi ritornare allegro, rinfrescato, affamato.

Lei sentì il bisogno di contrariarlo, così arzillo nonostante la lunga guida. – Ho un tremendo mal di testa questa sera – disse afflitta – e nessun appetito – Il padre le disse in tono comprensivo, che, quando si cambia aria bisogna purgarsi e già frugava nella borsetta dei medicinali in cerca del lassativo di fiducia.

Antonia sentì che stava per scoppiare a piangere. Si infilò in bagno a testa bassa e fece una lunga doccia tiepida accarezzandosi a lungo con la schiuma. Quando rientrò nella stanza, il padre, insisteva debolmente con la purga, ma riuscì infine a dissuaderlo e scesero a cenare.

L’odore del mare arrivava fin li e pareva più forte e più penetrante di quello del Nord. Andarono a letto tardi e il padre si rivoltò con un “Buonanotte!” Che era una sorta di intimazione a spegnere la luce ché la mattina si sarebbero alzati presto.

Si ritrovò nel buio a guardare le tendine muoversi leggere nell’aria calda: poco lontano, il respiro regolare del dormiente. Vide, guardando in basso, il proprio corpo emergere come scolpito morbidamente nel bianco del lenzuolo. Seguì attenta il tragitto della propria mano, poi precipitò in un’ansia agitata di liberazione mentre cercava nella mente lo sguardo intento del giovane che aveva incrociato arrivando.

La mattina la svegliò lo sguardo del padre fisso sul suo viso. Si sentì sconvolta: forse l’aveva vista, l’aveva guardata sveglio e aveva taciuto.

Ma i veli del sonno che si stavano diradando dai suoi occhi, scopersero sol volto paterno un’espressione di mattutina benevolenza. 

– Hai dormito sodo – proferì lui – ieri eravamo stanchi, è stata una tappa un po’ lunga – Guardò pigramente quel volto troppo noto che aggettava sbarbato e invadente sul fondale sconosciuto della camera d’albergo.