Je suis Charlie è uno slogan bello, bellissimo.
Ma è una frase che non va estirpata dal suo contesto, dalla situazione in cui è nata: i tragici attentati del 7 gennaio a Parigi. In quel frangente “Je suis Charlie” nacque come reazione ad un attentato che voleva zittire la libertà di stampa e d’espressione. Il ragionamento attribuito a Voltaire ribaltato: se dici una cosa che non gradisco, ti tolgo la vita.
Il “Je suis Charlie” doveva restare come traccia confinata a quei giorni e a quell’episodio. Si è trasformata in un mostro. Sorvolando sulle centinaia e centinaia di Je suis qualcosa sparsi per il mondo a sostegno di ogni genere di causa, con buona pace dell’originalità, spesso il Je suis Charlie é diventato un’arma contro la libertà di parola.
La libertà di parola o di espressione è sacra e intoccabile. Ogni uomo deve essere libero di esprimere ciò che dice e ciò che pensa. Libero, garantito nella sua incolumità non solo dalle Carte Costituzionali e dalle leggi ma anche libero dalle pressioni morali, dalla società, dal rischio di ritorsioni. Ma nel momento in cui io esprimo un’opinione, un concetto, un’idea, devo giocoforza accettare che un altro risponda, che un altro contesti la mia opinione, concetto, idea. Che addirittura la confuti e la smonti, dimostrando che ho detto una cosa falsa e non vera.
Negli ultimi tempi invece si è sempre più diffusa l’abitudine di reagire alla critica rinfacciando l’adesione al “je suis Charlie”. Come se la legittima critica potesse essere paragonata ad una mitragliata. Sono soprattutto le persone o gli ambienti che spesso suscitano scandalo e indignazione perché hanno detto qualcosa di inaccettabile, a nascondersi dietro questo stratagemma. Invece di replicare alle critiche o anche di ignorarle, invocano la difesa della loro libertà d’espressione. Libertà che però nessuno ha toccato.
Ancora più paradossale poi è l’abitudine di chi si incensa come martire della libertà perché bloccato su Facebook o su Twitter. Il ban è un diritto sacrosanto dell’utente. Certo sottolinea una sua profonda debolezza da parte di chi blocca, un’incapacità al confronto ma non impedisce a nessuno di parlare. Gasparri ha bloccato decine di utenti su Twitter ma la possibilità di criticarlo è rimasta intatta, anche su Twitter.
Chi critica non mette a tacere nessuno, non uccide. A volte, in casi fortunati, una critica aiuta. Ma se è facile difendere la propria libertà d’espressione, molto più difficile è difendere quella degli altri, soprattutto se dicono cose sgradite o che non vogliamo sentire. Ma lo scudo che protegge la loro libertà, protegge anche la nostra.
E poi la censura è anche controproducente. Nessuna idea, nessun’opinione è stata cancellata dalla censura. Storicamente parlando solo la forza dei fatti, della ragione, del pensiero, delle storie umane è riuscita a capovolgere il mondo.