Si è tenuto presso il Forum della Pubblica Amministrazione un affollatissimo convegno organizzato dagli ex allievi della Scuola Nazionale di Amministrazione sul tema: “Politici e burocrati: quasi amici?” con la partecipazione della vice-presidente del Senato Valeria Fedeli, del Presidente dell’INPS Tito Boeri, cel Consigliere di Stato Carlo Deodato e della professoressa Denita Cepiku dell’Università Tor Vergata. All’interno dei diversi temi oggetto di intervento da parte della delega sulla riforma della PA, infatti, il rapporto fra politica e burocrazia, dirigenza in particolare, resta centrale e controverso. In questo quadro, aldilà delle molte ed opportune considerazioni di carattere tecnico – è in preparazione uno spolis system di fatto? – il rischio è che si sconti un pericoloso equivoco, ovvero che politici e burocrati siano nemici in trincea, mentre, al contrario, il corretto funzionamento della macchina pubblica è responsabilità di entrambi. Forse non fratelli di sangue, ma quasi amici, dunque. Al Forum c’è stato un dibattito serio, corretto, approfondito: qui di seguito la mia relazione introduttiva.
Buon pomeriggio a tutti e benvenuti all’incontro promosso dall’Associazione degli ex allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ormai al suo 16mo anno di attività e con quasi altrettanti convegni organizzati presso il Forum della PA. Prima di cominciare, due parole sugli AllieviSNA: nati nel 1999, ci rivolgiamo agli ormai circa 500 dirigenti provenienti dai corsi-concorso di formazione dirigenziale della Scuola Superiore della PA, oggi SNA. Siamo presenti come dirigenti pubblici nei ministeri e negli enti pubblici a Roma come sui territori, mentre molti di noi sono oggi passati ad altre carriere nelle magistrature, nelle assemblee legislative e nelle organizzazioni internazionali. Il nostro sforzo è quello di tenere viva la rete fra di noi e dare il nostro contributo ai temi in agenda nel Paese che riguardano la PA e l’organizzazione dello Stato.
Dirigenti dello Stato prima che delle singole amministrazioni da sempre, grazie ad un percorso – il reclutamento e la formazione all’interno del corso-concorso della Scuola – che vogliamo tutelare e promuovere, consapevoli dell’importanza di una formazione comune sui valori repubblicani.
Il tema scelto oggi non ha bisogno di troppe spiegazioni. Il serrato dibattito degli ultimi mesi sulla riforma della PA vede il rapporto fra politica e burocrazia (tecnocrazia forse rende meglio l’idea di chi siamo) come elemento chiave, sul quale si è, tuttavia, avvitata una sorta di guerra fredda.
Non è il caso di ricordare alcune dichiarazioni “muscolari” del Presidente del Consiglio su burocrati e dirigenti: consegniamole all’archivio di una pur legittima dimensione di propaganda politica, alla quale talvolta si è contrapposto un atteggiamento di retroguardia e di arroccamento da parte della dirigenza.
Bene, crediamo sia ora di tirare una riga e ricordare – significativo che ce ne sia bisogno – che siamo sulla stessa barca e che questa barca si chiama Italia. Il principio che regoli il tumultuoso rapporto fra politica e burocrazia deve essere la leale collaborazione per dare corpo al processo decisionale delle politiche pubbliche: non è più possibile, quindi, prestare il fianco al pericoloso equivoco che li vede quali avversari gli uni contro gli altri armati. Occorre, invece, ragionare con serietà sulla regolazione più efficace del loro rapporto.
Scriveva Costantino Mortati nelle sue lezioni su “Le forme di Governo” che la garanzia di imparzialità dell’amministrazione è “resa attiva da un corpo di funzionari forniti di uno stato giuridico che dovrebbe metterli al riparo dagli attentati alla loro indipendenza da parte del personale politico. La burocrazia appare così come uno dei limiti fondamentali dell’ordinamento del governo e si pone come ossatura essenziale di una struttura equilibrata dei poteri”.
Un anno esatto fa ci trovavamo qui a discutere delle prospettive della riforma, offrendo un documento con nostre proposte al dibattito: “Cinque idee per la PA di domani, perché una PA di tutti ha bisogno di tutti”. Insistevamo su trasparenza, capitale umano, semplificazione intelligente, gestione delle reti e controlli. Ed eravamo preoccupati. Un nostro collega, intervenendo, ricordò che non dobbiamo avere paura, forti dei nostri valori e della nostra professionalità. Aveva ragione. Lo ripeto io oggi: nessuna paura. Ma, come sempre abbiamo fatto, abbiamo il dovere di evidenziare le cose che in questa riforma vanno bene e quelle che crediamo non siano utili.
Sono molte le cose che serve fare per rendere migliore la macchina dello Stato. Oggi ne ricordo una per tutte: ripensare il sistema della valutazione, messo in un cassetto dalla politica e dalla dirigenza, d’accordo nel accontentarsi di un impianto inidoneo a leggere le dinamiche interne delle organizzazioni pubbliche.
Ma c’è dell’altro. Fra i molti nodi critici, sembra che quello che recentemente Guido Melis in un suo recentissimo e bellissimo libro (“Fare lo Stato per fare gli italiani”) ha definito il processo di graduale precarizzazione della dirigenza pubblica trovi il suo apice nella riforma ora in cantiere. Processo accompagnato, non troppo paradossalmente, da una sorta di stabilizzazione degli avventizi.
Nella scommessa di riavvio della macchina dello Stato dovrebbe invece (ri)entrare prepotentemente in gioco una dirigenza che, in un rapporto di leale collaborazione con la politica, sia in grado di governare le strutture affidate in sintonia con le esigenze di continua trasformazione che provengono dall’esterno, sulla base di chiare responsabilità ma con autonomia operativa e di funzioni. In caso contrario, assisteremo a conseguenze pericolose per l’equilibrio dei poteri, rischiando di perdere un’occasione storica di fare finalmente della P.A. una delle leve di rilancio del Paese
Tiriamo una riga, allora, e ripartiamo. Ripartiamo dai dati e dai numeri. Ripartiamo lasciandoci alle spalle pregiudizi e rabbia sociale, che mai, mai va alimentata. Ripartiamo dal lavoro comune per una riforma che salvaguardi, ad un tempo, valori costituzionali, visione politica, diritti dei lavoratori, e, soprattutto diritti dei cittadini ad una organizzazione efficiente dello Stato che risponda ai loro bisogni ed aspettative.
È un lavoro non semplice che deve vedere alla sua base una faticosa opera di ricostruzione del rapporto di fiducia fra politica e burocrazia e fra queste e i cittadini.