Interessante l’articolo di Edoardo Narduzzi su Milano Finanza, che riporto sotto. Per chi lavora nel settore del credito è facile notare, dal basso, queste tendenze: è matematica, basta vedere a che livelli siano scesi i tassi dei quali discutiamo, ormai quotidianamente, coi nostri clienti.
Da anni leggiamo e sentiamo accuse di speculazioni rivolte alle banche che, invece di sostenere le imprese, hanno impiegato i soldi ricevuti dalla BCE per acquistare titoli di Stato lucrando sulla differenza rendimento-costo. Accuse giuste, sacrosante, perché le banche sono venute meno al loro compito di sostegno all’economia reale e lo hanno fatto con soldi pubblici, prestati per riavviare l’economia, non per giochetti percentuali a uso esclusivo dell’utile aziendale. Narduzzi evidenzia che questo meccanismo, il carry trade, è ben conosciuto (e praticato) anche da alcune grandi imprese. È vero, stiamo parlando della stessa azione, ma non è forse più sorprendente che speculi un’impresa, per definizione “attività economica organizzata per la produzione o lo scambio di beni e servizi”, rispetto a chi, come una banca, vive di intermediazione? Cosa significa se un’impresa comincia a giocare sui differenziali invece di investire? Che l’orizzonte si accorcia; altro che ricerca e innovazione. E se le imprese non credono in se stesse, addio alla crescita che cammina, come ben sappiamo, sulle gambe degli investimenti e dei consumi. Spiace constatare che la strada imboccata da quelli che dovrebbero essere gli attori economici principi sia la rendita, ma tant’è. Ma spiace soprattutto constatare che tante buone prediche siano arrivate da un pulpito che poi si scopre razzolare così male. Sia chiaro: un imprenditore con i propri soldi fa quello che vuole, ma risparmiamoci l’ipocrisia dai, quando si parla di reddito non c’è categoria economica che tenga: come si dice, tutto il mondo è paese.