Mi piace riportare sul Decamerino l’intervento di Gianstefano Milani al convegno su Lombardi, organizzato da Stefania Craxi e da lei introdotto con efficace è bella relazione anche in ricordo di Lombardi, Prefetto della Liberazione a Milano con Vittorio Craxi (padre di Bettino e nonno di Stefania) vice Prefetto . Tra gli o oratori: Tognoli, Pillitteri, Punzo, Scirocco e Signorile
Nuccio Abbondanza
Ricordare la figura di Riccardo Lombardi quale prefetto della Milano liberata é giusto ma é inevitabilmente anche l’occasione per riflettere sulla statura e l’influenza che il dirigente politico socialista ha avuto nel suo tempo.
Proveniente dal popolarismo cattolico, Lombardi entra giovanissimo nelle file dell’antifascismo assieme alla schiera politicamente molteplice di intellettuali disallineati dai partiti ideologicamente appartenenti al comunismo sovietico o al socialismo prebellico.
Arrivò più tardi all’esperienza azionista influenzato anche dal pensiero e dall’esempio dei fratelli Rosselli, ancorato al superamento dell’antica contrapposizione di liberalismo e socialismo e all’aspirazione ad un programma e un’azione politica improntati alla concretezza e all’incidenza sensibile sulla politica economica e sulla struttura della società segnata da ineguaglianze profonde ed irrisolte.
Riccardo Lombardi abbraccia insomma un approccio alla politica antifascista decisamente critico verso i miti e gli schemi ideologici vecchi e nuovi, per aderire ad una visione che pone al primo posto il miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, una politica economica capace di programmare ed indirizzare allo scopo le risorse disponibili, unificare il paese riducendo le disuguaglianze e rafforzandone la coscienza e la coesione.
Nella lezione e nel comportamento politico di Riccardo Lombardi ricomparirà peraltro, nel primo trentennio repubblicano, quella distinzione di scuola che in parte aveva travagliato il socialismo prefascista. Non tanto quella tra riformisti, massimalisti e rivoluzionari, quanto tra riformismo “transigente” e “intransigente”.
Distinzione figlia, più che di nostalgie massimaliste, del desiderio che il riformismo venisse avvertito come realmente incidente, come riconosciuto portatore di cambiamento pianificato della volontà politica di quella sinistra lontana dalla rigidità e dai furori ideologici, ma determinata e concreta nel perseguire il miglioramento delle condizioni di vita, delle garanzie sociali, dell’unità culturale del paese.
In questo senso il riformismo doveva essere “rivoluzionario”, nel senso di strutturale, visibile e tagliente, non accomodante, nel risolvere antichi nodi e privilegi che ostacolavano non solo una più accettabile redistribuzione delle risorse ma lo stesso sviluppo economico e la modernizzazione del paese.
Su questa base Riccardo Lombardi riuscì ad essere tra i principali fautori del primo centrosinistra, e subito appresso, tra i suoi più decisi avversatori.
Rimane a lungo minoranza nel partito ma non se ne separò mai, anzi continuo ad esserne una delle figure più amate e rispettate. Impersonò un’opposizione ai governi di centro sinistra all’insegna dell’originalità e all’autonomia del socialismo democratico dal campo comunista.
Era convinto che lo spirito riformatore da cui era animato il partito socialista avrebbe potuto esplicarsi in tutta la sua forza se la grande mole di elettori congelata nel PCI fosse entrata nell’alveo della sinistra di governo: come una grande “esercito di riserva” al quale offrire una via d’uscita dagli errori della propria storia.
Da qui l’aspirazione ad un’alleanza di sinistra che, seppur in contrasto allora con la dura realtà della politica, teneva però aperta, per i socialisti e per la sinistra intera, la strada di un’alternativa di governo, di una sinistra di governo con un programma di alternativa socialista e riformatrice.
Quella politica non ebbe mai, Lombardi vivente, possibilità alcuna di affermarsi. Non ne esistevano le condizioni nemmeno preliminari.
Quando, dopo la sua scomparsa e la caduta del muro di Berlino, parve profilarsi, all’originale rifiuto nei confronti dell’alleanza per una sinistra di governo, il compromesso storico proprio degli anni ’70, il PCI (poi PDS) fece seguire prima l’ipocrita e vanesia alternativa degli onesti e poi la persecuzione giudiziaria nei confronti dei socialisti.
Da parte socialista non sono mancati errori, miopie e sottovalutazioni, ma si può sostenere senza ombra di smentite che la mancata alleanza a sinistra e la conseguente sinistra di governo furono dovute non a Craxi e alla politica socialista, bensì al rifiuto dei comunisti e post comunisti, sempre e comunque, di aprirsi al campo del socialismo democratico e di riconoscere non solo a Craxi, ma ai socialisti, la guida dell’alternativa di governo.
Del resto l’esperienza del ventennio sotto il nome di “Seconda Repubblica” tra i tanti paradossi annovera anche quello di una sinistra che, se guidata da un leader dei tardivi riformatori, come sono stati i democratici di sinistra, non poteva in alcuno modo aspirare alla guida del paese.
In conclusione credo sia giusto affermare che, pur con le distinzioni discusse, Riccardo Lombardi é da accomunare, come leader, a quella profonda cultura socialista di indipendenza e autonomia a sinistra, al cui rafforzamento ha fatto da spartiacque il ’56 ungherese.
Una cultura che ha sempre vivificato e tormentato i socialisti, sempre esposti in prima linea come protagonisti e nel contempo a rischio di fallimento, di subalternità e di gregariato. Oggi Riccardo Lombardi se fosse ancora tra noi, sarebbe travagliato e non esiterebbe a riflettere con critica sincerità sulla sua visione politica, ma neppure lui potrebbe sfuggire all’antico quesito: “ di chi é la colpa”, oppure “dove abbiamo sbagliato?”.