Un gruppo di intellettuali bosniaci firma un appello a Papa Francesco in vista della sua visita a Sarajevo, per ricordargli le connessioni che esistono tra nazionalismo e Chiesa Cattolica in Bosnia Erzegovina (Questo il link all’originale in Inglese). Esiste anche una versione originale in italiano della quale, purtroppo, non mi ero accorto in partenza.
(una foto di Dario Kordic ai tempi della guerra)
Caro Papa Francesco,
la Sua prossima visita nel nostro paese è estremamente incoraggiante. L’annuncio sosteneva che Lei sarebbe venuto per rinforzare i semi del bene e contribuire al consolidamento della pace e della fratellanza, così ci siamo presi la libertà di scriverLe. In quanto cittadini di Bosnia ed Erzegovina, vorremmo condividere con Lei quello che Lei potrebbe non sentire dai politici e dalle altre figure pubbliche. Abbiamo deciso di indirizzarci molto rispettosamente a Sua Santità per introdurre delle tematiche che noi pensiamo siano di primaria importanza per la Bosnia Erzegovina e il suo popolo.
L’Agenzia di stampa cattolica ha accompagnato l’annuncio della Sua visita con questa frase: “(Sua Santità) si recherà in una nazione marcata da un’estrema varietà etnica e religiosa, che è stata un fattore chiave della guerra più recente“. Secondo noi, questa frase è estremamente preoccupante e non corrisponde alla verità.
Questa diversità etnica e religiosa è in effetti qualcosa di cui andiamo molto fieri e pensiamo sia un’enorme fortuna per il nostro paese e per la nostra società. La nostra essenza culturale è un tessuto estremamente intrecciato di differenti etnie e religioni; non vivremmo secondo la nostra identità se non ci fosse posto, in questa, anche per gli altri. Anche se ciò ha significato subire delle guerre, delle sofferenze e delle espulsioni di popolazione, la nostra identità multiculturale e multiconfessionale è la nostra condizione naturale. E non solo per noi – la Bosnia Erzegovina è una parte dell’Europa in cui Musulmani, Cristiani (Cattolici e Ortodossi), Ebrei e molti altri hanno potuto vivere assieme per secoli. La nostra tragedia è che questa diversità è stata usata attraverso la storia come un pretesto, una cortina di fumo per rubare la terra e derubare il popolo, secondo il principio del “divide et impera”. Essa è stata abusata dalle stesse persone che amano il potere e servono i propri interessi particolari, da conquistatori senza scrupoli, dall’élite politica e, a volte, da quella clericale.
I primi anni del periodo post-socialista in Bosnia Erzegovina sono stati caratterizzati da due processi molto potenti e connessi tra di loro: la “nazionalizzazione del sacro” e la “socializzazione del nazionale”. Allo stesso tempo la religione è stata rivitalizzata, e reinterpretata come un dato di fatto politico – la religione è stata politicizzata attraverso l’etnicizzazione. In ragione di ciò la religione, purtroppo, è stata interpretata in termini sempre più ristretti: la religione è stata ridotta a un dato di appartenenza etnica, invece di mantenere innate le sue caratteristiche universali e la sua missione. In questo modo, l’identità religiosa e quella etnica sono collassate l’una sull’altra.
Una soluzione politica sostenibile e giusta non può essere basata sulla divisione artificiale del nostro popolo, decisa e posta in essere dalle persone sbagliate. Noi desideriamo costruire sulle solide fondamenta del nostro codice culturale comune, dell’etica e della moralità. Noi dobbiamo educare le persone, promuovere pace e riconciliazione, e lavorare costantemente per favorire la giustizia e la ricostruzione del nostro tessuto sociale, che è stato tragicamente fatto a pezzi. Ci sentiamo enormemente rafforzati, in questo, dal fatto che Sua Santità offra il proprio aiuto.
La Bosnia Erzegovina ha bisogno di tutto l’aiuto che può ottenere nel corso del tortuoso e lento processo di ricostruire la fiducia tra i gruppi etnici del Paese. La genuina accettazione e riconoscimento delle atrocità commesse durante la guerra è un elemento chiave in questo processo. Questo riconoscimento dipende soprattutto dalla fine del negazionismo e della giustificazione dei crimini commessi dai membri del “nostro gruppo”; dipende dall’accettazione e dalla condanna sincera di quei crimini; e dipende dalla responsabilità morale e legale dei loro autori. Al contrario, noi siamo ancora testimoni della glorificazione di individui che, nonostante siano stati giudicati colpevoli e condannati per crimini di guerra, sono lodati come eroi nazionali e martiri. Se vogliamo che la Bosnia Erzegovina diventi un paese normale, dobbiamo rimuovere questi spettacoli nazionalisti dalla nostra arena politica. Dobbiamo eliminare il fascismo dalla politica, dall’educazione, dai media e dalla strada. Questo è il minimo che il nostro Paese meriti, in ragione del numero elevatissimo di persone uccise, ferite, stuprate, imprigionate in campi di concentramento o cacciate sulla base della loro etnia.
Ci permetta di illustrare perché noi riteniamo queste logiche di divisione “fasciste” e perché pensiamo che siano dannose con uno sfortunato episodio molto recente. Sotto, Lei può vedere come Dragan Covic, membro della Presidenza di Bosnia Erzegovina, che sarà Suo ospite durante la Sua visita a Sarajevo, e Marinko Cavara, che è l’attuale Presidente della Federazione di Bosnia Erzegovina, hanno accolto pubblicamente il criminale di guerra Dario Kordic, che è ritornato dall’Aia dopo aver scontato 2/3 della propria pena in carcere.
La grande cerimonia pubblica ritratta in questa fotografia è stata seguita da una messa e da un discorso che Kordic tenne dall’altare della Chiesa.
Da parte sua, non c’è mai stata una singola parola di rimorso per quanto fatto, nessuna catarsi, nemmeno la tanto agognata metanoia.
Persone come Kordic probabilmente non sono familiari con questi concetti, ma i membri del clero che l’hanno accolto e hanno celebrato il suo ritorno dalla prigione, specialmente durante la sua visita a Zagabria (dove Kordic è stato accolto dal vescovo Vlado Kosic di Sisak) e Mostar, sicuramente lo sono. Essi hanno comunque deciso di assolvere i criminali, trasformandoli anzi in martiri. Il capo della Provincia Francescana di Erzegovina, Dr. Fr. Miljenko Steko, ha anzi fornito supporto istituzionale a Kordic e anche uno spazio dal quale poter tenere delle lezioni a proposito della sua “esperienza di fede”. I membri delle altre etnie hanno percepito tutto questo come una forma di negazione delle loro sofferenze e di celebrazione dei crimini commessi contro di loro. Le loro ferite non guariscono, anzi si approfondiscono.
Questo non è stato assolutamente l’unico esempio di un caso in cui il clero ha sostenuto dei criminali di guerra, solo il più recente. E va detto che questo non è un fenomeno esclusivo della Chiesa Cattolica in Bosnia Erzegovina. La Chiesa ortodossa serba e la Comunità islamica spesso hanno espresso il proprio supporto a persone condannate per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Troppi, tra questi clericali, non servono la loro gente, ma la loro nazione.
Siamo estremamente rattristati che le stesse persone che hanno accolto così gioiosamente dei criminali di guerra saranno in prima fila ad attenderLa in Bosnia Erzegovina.
Negli ultimi mille anni la Chiesa Cattolica di Bosnia Erzegovina è stata una parte essenziale della nostra identità. I contributi che la Chiesa, il clero e i fedeli hanno dato al nostro progresso spirituale, culturale e scientifico sono stati immensi.
Siamo pieni di gratitudine per tutto l’aiuto che la Chiesa e il suo popolo hanno dato durante la guerra. Molti, tra i suoi fedeli, sono stati degli eroi. Ricorderemo per sempre Gabriele Moreno Locatelli, un pacifista e uno studente della Lombardia, membro dei ‘Beati costruttori di pace’, che ha perso la sua vita a Sarajevo durante l’assedio. La gente di questo paese è estremamente riconoscente per il supporto che ha ricevuto da Giovanni Paolo II che, durante la guerra, parlava continuamente della Bosnia Erzegovina e si è schierato apertamente contro il nazionalismo. Questo è il motivo per cui è cruciale il modo in cui i clericali di questa generazione risponderanno alla chiamata per la vera pace e per la riconciliazione.
Padre Santissimo, ogni Sua parola o gesto risuonerà profondamente nella nostra società e nel mondo. Non vediamo l’ora di poterLa accogliere e onorare nel nostro Paese. Ci sentiamo benedetti dalla decisione di Sua Santità di venire in visita a Sarajevo. Crediamo fermamente che la Sua visita possa segnare l’inizio di un’era di pace e riconciliazione genuine, dalla quale trarranno beneficio intere generazioni di Bosniaci ed Erzegovesi.
Con profondo rispetto e ogni augurio per Sua Santità,
Aleksandar Brezar, traduttore, giornalista, sceneggiatore
Aleksandar Hemon, scrittore, vincitore del premio McArthur genius
Alen Voloder, programmatore
Brano Jakubovic e Vedran Mujagic, membri di Dubioza kolektiv
Damir Arsenijevic, professore delle università di De Montfort, Leicester e Tuzla
Dino Abazovic, professore, sociologo
Franjo Sarcevic, matematico, attivista
Gorana Mlinarevic, avvocato internazionale per i diritti umani
Ines Tanovic Sijercic, attivista, storico dell’arte
Jasmila Zbanic, regista, vincitrice dell’Orso d’Oro alla Berlinale,
Kumjana Novakova, festival del cinema dei diritti umani Pravo Ljudski,
Nidzara Ahmetasevic. giornalista, attivista
Refik Hodzic, giornalista, attivista della giustizia
Sabina Sabic, attivista di pace, produttore
Saida Mustajbegovic, sociologo, giornalista
Sasa Stanisic, scrittore, vincitore del Premio della Fiera del libro di Lipsia
Ulvija Tanović, traduttrice
Zoran Herceg, artista, attivista
Zoran Ivancic, attivista per la pace