Alle Regionali 2015 non è vero che è finita 5 a 2, come titolano in tanti. È finita 50-50, fifty-fifty: questa è la percentuale di coloro che hanno deciso di (non) andare a votare. Un dato che testimonia la disaffezione forte nei confronti della politica: alle regionali del 2010 andò alle urne il 64,19% degli aventi diritto, nel 2005 fu il 72%. Un trend in continua (de)crescita.
Le riflessioni che si possono fare sono molte, io vorrei brevemente soffermarmi su tre di esse.
La prima: è legittima l’elezione di un consiglio regionale con un tasso di defezione al voto così elevato? La risposta è ovviamente sì. Tranne casi eccezionali, e tutti punibili per legge, le schede bianche, quelle annullate e gli elettori assenti al voto rappresentano persone che volontariamente chiedono che di loro non si tenga conto. In tale ottica, quindi, qualsiasi forma di astensionismo può essere interpretato come un rozzo, sebbene efficace, meccanismo di delega: non andando a votare o votando scheda bianca, mi assumo la responsabilità di farmi andar bene qualsiasi risultato elettorale fuoriesca dalle urne.
La seconda: è giusto che un tale risultato non incida in alcun modo sul numero degli eletti, che non intacchi le varie sfere di potere, né tantomeno i rapporti di forza tra i partiti? Questo livello di astensione, infatti, è sintomo di un forte dissenso rispetto al sistema politico in generale, ma tutto sommato è innocuo e per certi versi anche comodo a più di qualcuno. Infatti, nella mancanza di un punto di incrocio tra domanda e offerta politica, chi viene ad essere penalizzato è sempre il cittadino e non i partiti che, comunque, mantengono inalterati il numero dei loro eletti, pur avendo ricevuto una sonora bocciatura della loro offerta politica e dei loro tatticismi.
Terza riflessione: esiste una via d’uscita? La risposta più banale è quella che prevede la capacità dei partiti e dei politici di riconquistare la fiducia della gente, e farsi votare sulla base di un progetto. Questa però appare una strada tanto banale quanto difficilmente realizzabile, perché lastricata da troppi interessi personali, molte beghe interne ai partiti, miopia strategica, tutti aspetti abbondantemente palesati nel tempo e trasversalmente a tutti schieramenti.
Dunque, ecco una proposta, più rozza ma sicuramente efficace: perché non rappresentare il “partito dell’astensione” in quanto tale, lasciando dei seggi vuoti in consiglio regionale? Basterebbe una modifica alla legge che preveda, nel conteggio per la ripartizione delle poltrone, anche le schede bianche.
Tante schede bianche uguale a tanti seggi vuoti. Perlomeno in tal modo il punto di equilibrio tra domanda e offerta politica si sbilancerebbe a favore degli elettori, e non degli eletti. Tale proposta è davvero rappresentativa e democratica?
Jorge Luis Borges, che era un uomo intelligente e spiritoso, nel suo racconto “Il parlamento” sosteneva che, per avere una rappresentanza davvero rappresentativa, un’elezione dovrebbe eleggere tutti gli elettori. Essendo questo impossibile, ritengo che la proposta dei seggi vuoti in proporzione alle schede bianche sia un buon compromesso e di certo più rappresentativa dello stato delle cose rispetto a quella attuale.
Nel suo “Saggio sulla lucidità”, José Saramago si chiedeva cosa sarebbe successo se un’intera città, una capitale imprecisata di un paese imprecisato, avesse votato scheda bianca alle elezioni. Anche in quel caso, attraverso il non-voto, la popolazione compiva un atto politico ed estremamente radicale: respingere in toto la struttura della decisione, cioè la struttura della rappresentatività, con uno strumento offerto dalla democrazia stessa.
È innegabile: ogni democrazia contiene in sé un potenziale autodistruttivo enorme, la scheda bianca, che può essere attivato da un meccanismo collettivo ispirato, secondo lo scrittore, solo dalla “lucidità”, ovvero dall’amara consapevolezza che il voto è diventato un atto vuoto e inutile dal momento che chi vota non può in alcun modo influire sulla realtà, stretta nella morsa delle varie collusioni politiche, economiche, mediatiche che governano ogni interstizio della vita pubblica.
È l’amara descrizione di un esperimento di politica bartebliana, una “teratologia politico-sociale”, come dice uno dei personaggi senza nome del libro. Esiste una soluzione? Una poesia di Brecht, “La soluzione” appunto, recita così:
Dopo la rivolta del 17 giugno
il segretario dell’Unione degli scrittori
fece distribuire nella Stalinallee dei volantini
sui quali si poteva leggere che il popolo
si era giocata la fiducia del governo
e la poteva riconquistare soltanto
raddoppiando il lavoro. Non sarebbe
più semplice, allora, che il governo
sciogliesse il popolo e
ne eleggesse un altro?